Strizza il seno di una donna durante una lite, mediatore immobiliare condannato per violenza sessuale

Anche la Cassazione conferma l’orientamento della giurisprudenza: pena a un anno e due mesi (sospesa) e 1000 euro di risarcimento oltre alle spese legali
Strizza il seno di una donna durante una lite, condannato definitivamente a un anno e 2 mesi di reclusione (pena sospesa) e mille euro di risarcimento, per violenza sessuale.
La suprema corte di Cassazione, nei giorni scorsi, ha ribadito in sentenza un principio già espresso in altre decisioni che ormai stanno orientando la cosiddetta giurisprudenza in merito ad avvenimenti simili. Non importano le intenzioni di chi tocca le zone sessuali del corpo di una donna; se viene compromessa la libertà e quindi la capacità decisionale, per certe zone del corpo, si tratta sempre e comunque non di violenza generica ma di violenza sessuale. Con pene e condanne modulate ovviamente a seconda della gravità.
Il fatto è avvenuto a Lucca circa otto anni fa e nel 2019 già la corte d’Appello aveva confermato la condanna nei confronti dell’uomo, ora divenuta definitiva. Il mediatore immobiliare durante l’ennesimo sopralluogo all’abitazione acquistata dalla vittima, e di fronte a un geometra testimone del fatto, aveva iniziato a litigare verbalmente con la donna per alcuni lavori di ristrutturazione da effettuare nell’abitazione di un quartiere cittadino. Al culmine del litigio l’uomo aveva strizzato con forza il seno della donna, la lite era poi proseguita sempre attraverso parole e toni di voce molto alti per poi terminare grazie anche all’intervento del testimone. Un gesto che gli è costato caro a prescindere dalle sue intenzioni. Perchè a seguito di indagini, da parte dei carabinieri prima e dei giudici poi, si è arrivati all’incriminazione dell’uomo per violenza sessuale.
L’uomo anche davanti ai giudici della Cassazione aveva ribadito quanto già affermato nell’atto d’appello, e cioè che la condotta, ritenuta lesiva della sfera di libertà sessuale della persona offesa (consistita nell’afferrarle il seno e strizzarlo con forza), doveva, in realtà, essere attribuita allo stato di esasperazione derivante dagli attriti esistenti tra l’imputato e la persona offesa (collegati ai lavori di ristrutturazione di un immobile di cui la persona offesa aveva acquistato la proprietà proprio grazie alla mediazione dell’imputato), escludendo di conseguenza la volontà di invaderne la sfera sessuale. “Tale intenzione – la tesi difensiva – era stata desunta impropriamente dai giudici di merito dalla sola oggettività della condotta, che, però, non era stata caratterizzata da connotazione sessuale, nonostante la parte del corpo della persona offesa che ne era stato l’oggetto, in quanto non era volta a soddisfare pulsioni di origine sessuale o la concupiscenza dell’imputato, ma era stata originata esclusivamente da uno stato d’ira nutrito dall’imputato medesimo nei confronti della persona offesa (come riferito dall’unico testimone presente, il geometra, che aveva escluso un trasporto sessuale dell’imputato, attribuendogli solamente uno stato d’ira)”. “Ciò avrebbe dovuto – sempre secondo la difesa – indurre i giudici di merito a escludere la natura sessuale dell’atto posto in essere dall’imputato e, quindi, anche la configurabilità del reato di violenza sessuale contestatogli, per la mancanza nella condotta della volontà di invadere la sfera sessuale della persona offesa”.
Di diverso avviso gli ermellini che hanno ribadito quanto espresso in altre sentenza simili. “Nel caso in esame è stata correttamente affermata la configurabilità del reato di violenza sessuale, evidenziando la volontaria e violenta invasione da parte dell’imputato della sfera sessuale della vittima, realizzata mediante il repentino strizzamento del seno della stessa, che ha senza dubbio comportato la compromissione della sfera sessuale della destinataria di tale condotta (avendo riguardato una parte del corpo certamente sensibile sul piano sessuale), posta in essere volontariamente dall’imputato, che era certamente consapevole del contenuto e della portata della propria condotta, e cioè del fatto che essa fosse volta a invadere la sfera sessuale della persona offesa. Il fatto che detta condotta non avesse il fine di soddisfare istinti sessuali dell’imputato o la sua concupiscenza, bensì di offendere la vittima, nell’ambito di un acceso confronto tra essa e l’imputato, non esclude la configurabilità del reato, per la quale, come ricordato, è sufficiente il dolo generico, di volontariamente invadere o compromettere la sfera di libertà sessuale della destinataria della condotta, non occorrendo che essa sia anche volta a soddisfare la concupiscenza o il desiderio sessuale dell’agente, né assumendo rilievo assorbente il fine ulteriore dell’agente. Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza delle doglianze del ricorrente, risultano insussistenti le violazioni di legge penale e i vizi della motivazione dallo stesso denunciati. Il ricorso in esame deve, dunque, essere respinto, a cagione della infondatezza di entrambe le censure cui è stato affidato”.
L’uomo è stato condannato anche al pagamento delle spese processuali.