Pubblica post offensivi sulla bacheca dell’associazione sportiva: radiato

Il giudice ha respinto il ricorso e lo ha condannato alle spese di lite
Si fa radiare da un’associazione sportiva confederata della Lucchesia per frasi ingiuriose pubblicate su Facebook: il giudice Giacomo Lucente del tribunale cittadino gli dà torto nel ricorso contro il provvedimento e lo condanna anche a circa 3mila euro di spese di lite.
La vicenda è interamente avvenuta sul noto social ed è iniziata circa due anni fa. L’uomo, socio dell’associazione, perde le staffe per una questione legata ad alcune chiavi di un deposito dove sono custodite le attrezzature sportive e scrive sulla pagina Facebook della stessa associazione frasi molto dure ritenute offensive anche dai giudici che hanno nei giorni scorsi approvato il provvedimento di radiazione.
La delibera assunta dal consiglio direttivo dell’associazione nell’aprile 2019 prevedeva la sostituzione, per motivi di sicurezza, della serratura di un locale/deposito, delegando un socio che era incaricato di consegnarne copia agli altri soci.
La mattina dopo la sostituzione, sulla pagina pubblica dell’associazione del social network Facebook, il socio poi radiato scriveva un post polemico chiedendo chi fosse “lo stronzo che ha fatto sostituire la serratura del locale senza prima avvisare chi ha l’attrezzatura all’interno”, come dai resoconti processuali. Il presidente Cardini chiamava il socio che aveva sostituito la serratura per pregarlo di attendere a consegnare le chiavi al socio che aveva scritto i post fin quando quest’ultimo non lo avesse cancellato , ma il socio rispondeva che era in sua compagnia e che le chiavi erano già state consegnate.
Ma la sua rabbia non si placa, come si legge in sentenza, nonostante avesse già ricevuto le nuove chiavi, e invece di cancellare il post scriveva sempre sulla pagina Facebook dell’associazione, con chiaro intento polemico, secondo i giudici, un secondo post nel quale si chiedeva con quale potere il presidente telefonava al gestore della ferramenta e lo invitava a non consegnargli copia delle chiavi, “che lui si poteva permettere essendo socio e maggiorenne e che queste erano ritorsioni”, sottolineando tale ultima parola con il carattere maiuscolo.
A seguito di tali eventi alla riunione del 18 aprile del 2019 il consiglio direttivo decideva di inviare una lettera di diffida al socio “ribelle”, nella quale oltre a spiegare i motivi del cambio della serratura del locale, gli veniva chiesto di eliminare gli interventi inappropriati su Facebook, avvertendolo che in caso contrario a norma di statuto avrebbero dovuto prendere provvedimenti. “Poiché l’uomo non cancellava i post, vi provvedeva l’amministratore della pagina, ma in data 26 aprile 19 a mezzanotte e 33 lpubblicava un nuovo intervento su Facebook, questa volta sulla pagina personale” scrivendo:“Nessuno può permettersi di cancellarmi i post”, allegando la lettera che gli era stata inviata, ed accusando il consiglio di mancargli di rispetto e di aver compiuto un abuso di potere sottolineandoo con il carattere maiuscolo queste ultime parole.
“Parlava poi – si legge nella sentenza – di non meglio precisate ‘stronzate’ e ‘ritorsioni’ che avrebbe subito da anni, con un elenco di ingiustizie a suo dire subite; accusava l’associazione di non essere ‘democratica’ ed aggiungeva che chi lo “comanda” non aveva avuto il coraggio di rispondergli pubblicamente ma solo di cancellargli i post; parlava anche di ‘nullafacenti’ all’interno dell’associazione e chiudeva dicendo che tutti i membri del consiglio ‘a pari merito o demerito diventano responsabili alla pari’, sempre stando alle risultanze processuali. Da qui la radiazione del socio ‘ribelle’ confermata dal tribunale di Lucca nei giorni scorsi. I social sono ormai entrati nella giurisprudenza italiana e rispondo a regole precise alla pari degli altri mezzi di comunicazione e di stampa. E quindi prima di scrivere qualcosa bisognerebbe ponderare bene sostanza e forma e soprattutto lo scopo, perché poi bisognerà assumersi le responsabilità di quanto scritto spesso anche davanti alla legge.