Lo condannano per un reato diverso da quello contestato: la Cassazione rimanda gli atti al pm

29 settembre 2021 | 15:36
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Lo condannano per un reato diverso da quello contestato: la Cassazione rimanda gli atti al pm

Per gli ermellini è stato violato il principio di correlazione con l’imputazione

Gli contestano un reato ma poi lo condannano per un altro, la cassazione annulla tutto e rinvia gli atti al pm del tribunale di Lucca.

La particolare vicenda riguarda un proprietario di una pizzeria della Lucchesia che a seguito di una ispezione sanitaria si è visto poi successivamente condannare dal gup in sede di abbreviato a un’ammenda da 800 euro. Ma la contestazione del reato riguardava il capo d’imputazione relativo all’articolo 515 del codice penale, frode nell’esercizio del commercio, e da tali accuse si era difeso ma poi è stato condannato per la violazione dell’articolo 5, legge n. 283 del 1962.

Il giudice per l’udienza preliminare aveva ritenuto colpevole il ricorrente in relazione alla detenzione per la vendita dell’olio indicato come extravergine di oliva ma in realtà olio di semi alterato. In Cassazione il legale dell’uomo ha sottolineato: “La società del ricorrente non vende olio, ma casomai lo utilizza per la preparazione degli alimenti (pizze e altro). La stessa sentenza rileva come mai il ricorrente abbia utilizzato, per la preparazione dei piatti, l’olio in questione (come emerge anche dalle indagini difensive). L’olio era in uno scatolone chiuso e solo due lattine erano state aperte per l’assaggio. Il ristorante, del resto, aveva acquistato altro olio proprio in considerazione dell’impossibilità di utilizzare quello in sequestro. L’olio era stato acquistato da un venditore ambulante, senza rilascio di documentazione fiscale. La detenzione ai fini della vendita risulta totalmente illogica, in quanto l’olio non poteva essere venduto dal ristorante. L’olio non era alterato, ma semplicemente era un altro tipo di olio (aliud pro alio); un prodotto diverso da quello promesso o risultante dall’etichetta”.

Il legale aveva chiesto quindi l’annullamento della decisione impugnata. Gli ermellini gli hanno dato ragione. Si legge infatti in sentenza: “Il ricorso è fondato relativamente al motivo del difetto assoluto di contestazione per l’articolo 5, legge 283 del 1962 e la sentenza deve annullarsi senza rinvio, con la trasmissione degli atti al pm del tribunale di Lucca. L’attribuzione in sentenza al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’articolo 521 del codice di procedura penale, qualora la nuova definizione del reato appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, o, comunque, l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine alla stessa. Nel caso di specie la contestazione delle condotte è relativa alla fattispecie dell’articolo 515 del codice penale, invece in sentenza la condanna è intervenuta per l’articolo 5, legge n. 283 del 1962. È stato violato, quindi, il principio di correlazione con l’imputazione, con la condanna per un fatto completamente diverso da quello contestato: viola il principio di correlazione con l’imputazione la condanna in ordine al reato di vendita di prodotti alimentari adulterati a fronte della contestazione di tentativo di frode in commercio”.

La particolare e singolare vicenda giudiziaria dovrà ripartire daccapo.