Ladro recidivo: sette condanne per furto dopo i raid in serie a Lucca

La Cassazione nega il ricorso all’imputato che chiedeva lo sconto per la continuazione dei reati
Il ladro perde il pelo, ma non il vizio. Il detto popolare così modificato calza a pennello ad un 44enne per gli inquirenti autore di una serie di raid, che gli sono costate ben sette condanne per furto aggravato emesse dal tribunale di Lucca. Le sentenze ora sono divenute definitive e l’uomo, di origini lituane, dovrà scontare tutte le pene inflitte.
I giudici della suprema corte di Cassazione hanno infatti respinto il ricorso del 44enne che chiedeva i benefici della continuazione dei reati, dichiarandolo inammissibile. Ora spetta al giudice dell’esecuzione provvedere al calcolo definitivo determinando la pena totale che dovrà scontare l’imputato in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto. Il provvedimento impugnato dal cittadino lituano affermava che, a prescindere dalla omogeneità dei titoli di reato e delle loro modalità esecutive, simili tra loro, impedisce, secondo gli ermellini, il riconoscimento della continuazione, con rilievo decisivo, visto il lasso di tempo intercorso tra i fatti, le diverse modalità operative, la varietà dei beni sottratti (decespugliatori, bottiglie di alcolici, biglietti gratta e vinci, somme di denaro, autovetture, documenti ed alto ancora), vista la natura estemporanea delle condotte dell’imputato e l’assenza di elementi di collegamento tra gli episodi di furto tutti commessi a Lucca negli anni passati.
Sulla scorta di tali elementi fattuali il giudice dell’esecuzione ha escluso che il condannato, sin dalla prima violazione, avesse programmato, sia pure nelle linee generali, anche le successive. E’, quindi, correttamente pervenuto alla logica conclusione che l’uomo ha commesso i reati, di volta in volta, in esecuzione di determinazioni criminose, diverse ed autonome, “nell’ambito di un più generale progetto di vita improntato alla sistematica consumazione di illeciti contro il patrimonio”.
Si legge infatti in sentenza: “Le censure del ricorrente sono, di contro, manifestamente infondate e comunque sollecitano sostanzialmente una rilettura ielle medesime circostanze fattuali prese in considerazione dal Giudice dell’esecuzione. Si tratta di operazione pacificamente non consentita in sede di legittimità anche perché non supportata dall’allegazione del materiale probatorio su cui sarebbe fondata la diversa ricostruzione, solo prospettata. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende”. Ora il computo definitivo della pena totale da scontare sommando le varie condanne senza nessun beneficio di legge.