Ferita da una fucilata dopo una rapina al supermarket chiede i danni all’azienda, il tribunale le dà torto per “comportamento aggressivo”

Secondo i giudici il malvivente ha reagito alla resistenza e alle invettive della donna. La dipendente aveva chiesto 250mila euro di risarcimento
Durante una rapina al market di Pontetetto dove lavorava come cassiera il rapinatore armato le sparò con un fucile caricato a pallini in pieno petto. Lei, 67 anni di San Giuliano Terme, ha chiesto oltre 250mila euro di risarcimento alla società, ma il tribunale di Lucca non ha accolto il suo ricorso.
A fondamento della sua domande la donna aveva esposto che era dipendente nel supermercato dal 1995 e svolgeva la propria attività come cassiera al punto vendita di Pontetetto. Il 29 maggio 2014, alle 20, mentre era addetta alla cassa, era stata colpita da un rapinatore che, munito di arma da fuoco, si era riuscito ad introdurre indisturbato nel supermercato, si era avvicinato a lei che si trovava alla cassa, aveva afferrato all’improvviso il denaro che era nel cassetto e poi si era allontanato e le aveva esploso contro, da distanza ravvicinata, un colpo con il fucile a canne mozze caricato a pallini che aveva con sé. Lei era stata colpita da una molteplicità di pallini da caccia, era caduta a terra ed era stata quindi portata all’ospedale ove era stata ricoverata e poi dimessa a giugno dello stesso anno.
Il 17 settembre 2014 era stata sottoposta ad un intervento di chirurgia plastica in anestesia generale per rimuovere i pallini di piombo rimasti nel corpo, ma era stato possibile rimuoverne solo 54, essendo altri in zone di più difficile accessibilità. La donna afferma in giudizio contro la società che era rimasta assente dal lavoro per malattia fino al mese di aprile del 2015 e che le cure (anche psicoterapiche) che aveva dovuto subire erano state pesanti sia fisicamente, sia psicologicamente ed anche economicamente. Per cui riteneva fondata la sua richiesta verso la società, poiché questa, a suo dire, non aveva posto in essere misure idonee a garantire la sicurezza dei suoi dipendenti. Per la cassiera la società non aveva provveduto ad installare alcun dispositivo di vigilanza e neppure ad assumere un vigilante all’ingresso, nonostante la pericolosità della zona in cui era ubicato il supermercato fosse ben conosciuta alla società, in quanto ripetutamente segnalata dal personale.
Di diverso avviso la società che nel procedimento civile di risarcimento ha affermato che “mentre la donna era alla cassa, intenta a terminare le operazioni con un cliente dandogli il resto, si era proteso in avanti verso la cassa il cliente che seguiva quello che stava servendo, aveva infilato le mani nel cassetto e sottratto una manciata di banconote. Inopinatamente l’odierna ricorrente aveva fatto resistenza cercando di chiudere il cassetto del registratore di cassa e aveva inoltre reagito inveendo contro il malvivente anche quando questo si era ormai è accinto ad uscire, allontanandosi dalla cassa”.
A detta della società il rapinatore si era contrariato per le invettive della signora e si era rivolto alla signora con le parole Grulla vedi se mi davi i soldi…, facendo fuoco al suo indirizzo con un’arma che aveva con sé, colpendola nella zona toracica. Poi aveva ripreso la fuga e se n’era andato con un motoveicolo.
Un malvivente era stato catturato, anche se poi la persona arrestata nel corso del processo penale è stata assolta non essendovi certezza sulla sua identità rispetto al soggetto che aveva compiuto la rapina. I giudici lucchesi hanno dato ragione alla società e torto alla donna. Si legge infatti in sentenza: “La società ha comunque evidenziato che da tempo aveva attivato una polizza assicurativa contro i furti per effetto della quale le somme rubate venivano rimborsate dall’assicurazione, detratta la franchigia: di questa assicurazione erano stati posti a conoscenza tutti i lavoratori che quindi sapevano che in caso di furti la società non avrebbe sopportato come danno economico altro che la franchigia. Dunque la società teneva sotto controllo i vari punti vendita di cui disponeva monitorando furti e rapine, e si era adoperata per garantire situazioni di sicurezza dei dipendenti sollevandoli da oneri di garantire il patrimonio aziendale rispetto a terzi malviventi, facendone partecipi i dipendenti affinché essi non si opponessero in caso di furti, evitando quindi di mettere a rischio la propria incolumità personale per proteggere il patrimonio aziendale”.
E infine: “Ora posto che non pare potersi ravvisare nel comportamento tenuto dalla società resistente profili di inadempimento, non può non osservarsi che l’esplosione del colpo da fuoco da parte del rapinatore risulta nel caso in esame piuttosto conseguenza del comportamento decisamente aggressivo assunto dalla ricorrente, che funzionale all’effettuazione della rapina. E d’altra parte il comportamento tenuto dalla ricorrente quando ormai il ladro aveva sottratto le banconote appare privo di qualsivoglia utilità e a vario titolo dannoso, anche, infine, per l’eccesso di aggressività suscitata nel rapinatore. In assenza di tale contegno, l’eventuale coefficiente colposo del lavoratore nel determinare l’evento è irrilevante sia sotto il profilo causale che sotto quello dell’entità del risarcimento dovuto. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato”.
La donna ora, dopo il deposito della sentenza del 2 dicembre scorso, potrà fare ricorso in appello.