Cerca di vendere beni fuori dalla procedura fallimentare, condannato in via definitiva un curatore

10 gennaio 2022 | 12:43
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Cerca di vendere beni fuori dalla procedura fallimentare, condannato in via definitiva un curatore

La Cassazione conferma le argomentazioni dei giudici dei primi due gradi di giudizio respindengo il ricorso del professionista

Curatore fallimentare, nominato dal tribunale di Lucca, condannato a 1 anno e 2 mesi di reclusione, in via definitiva, per il reato di interesse privato.

Nel 2020 era stata condannato dal gup lucchese, in sede di abbreviato, perché secondo i giudici, avrebbe concordato con due amministratori di due ditte cittadine, di cui era commercialista, un’offerta di acquisto di alcuni beni. Per l’accusa, in pratica, l’uomo si sarebbe accordato con questi amministratori, giudicati separatamente con un patteggiamento, di formulare un’offerta di acquisto di beni inventariati nella procedura fallimentare per il prezzo di 48mila euro, facendo autorizzare tale vendita dal giudice delegato e proponendo, al tempo stesso, ad altri due soggetti l’acquisto dei medesimi beni per il prezzo di 91500 euro e poi di 68mila euro, non direttamente dalla procedura fallimentare, bensì da una ditta, non riuscendo a portare a termine il suo disegno per i sopraggiunti sospetti dei due potenziali acquirenti della ditta sulla inaffidabilità e illiceità dell’intera operazione.

Il commercialista ed ex curatore fallimentare nominato dal tribunale, all’interno di una procedura riguardante una grossa azienda lucchese di forniture, ha provato a difendersi fino in Cassazione impugnando la condanna di primo grado ma gli ermellini hanno dichiarato inammissibile il suo ricorso condannandolo anche a 3mila euro di spese.

Per i giudici di piazza Cavour infatti “il ricorrente non tiene nel dovuto conto, infatti, che in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito”. In altri termini “il dissentire dalla ricostruzione compiuta dai giudici di merito e il voler sostituire ad essa una propria versione dei fatti, costituisce una mera censura di fatto sul profilo specifico dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, anche se celata sotto le vesti di pretesi vizi di motivazione o di violazione di legge penale o di travisamento della prova “per omissione” in realtà non configurabili nel caso in esame, posto che il giudice di secondo grado ha fondato la propria decisione su di un esaustivo percorso argomentativo, contraddistinto da intrinseca coerenza logica”.

Caso chiuso.