‘Ndrangheta, ad Altopascio gli incontri organizzativi per l’arrivo della cocaina dalla Colombia
La rivelazione negli atti della sentenza della Corte di Cassazione per il processo Stammer, avviato dalla Dda di Catanzaro e dal procuratore capo Nicola Gratteri
Boss e picciotti di ‘ndrangheta in Lucchesia insieme a fiancheggiatori e “amici degli amici”. L’ennesiama conferma arriva da una sentenza definitiva della suprema Corte di Cassazione relativa ad un traffico internazionale di cocaina, la cui sede logistica almeno per quanto riguarda il passaggio di documenti per l’attracco dei container era ad Altopascio. Si tratta solo dell’ennesima sentenza, appunto, che dimostra che la Lucchesia è terra di conquista da parte della criminalità organizzata e da anni ormai, sia per la parte relativa al riciclaggio dell’enorme quantità di denaro derivante dal traffico di droga, come sottolinea da tempo ogni relazione annuale della Dia, nel tentativo di infiltrare l’economia sana, sia per la fase organizzativa e logistica.
Evidentemente i potenti e feroci boss di ‘ndrangheta ritengono in qualche modo la Lucchesia un luogo idoneo e “sicuro” per incontri a scopo organizzativo. Così nella sentenza della Cassazione relativa ai 26 imputati che avevano scelto di essere giudicati col rito abbreviato nel processoStammer, avviato dalla Dda di Catanzaro e dal procuratore capo Nicola Gratteri, si legge la parola Altopascio per ben 14 volte.
L’inchiesta
Il processo ha fatto luce sull’importazione di cocaina dalla Colombia in Italia, sfruttando il porto di Livorno, con epicentro dell’organizzazione individuato nel Vibonese in Calabria. Una maxi inchiesta che aveva portato all’arresto di oltre 50 persone nel 2016 e che aveva visto già molte condanne, alcune ora definitive. Tra queste condanne di boss e picciotti di ‘ndrangheta ci sono anche mediatori, organizzatori, broker e fiancheggiatori delle varie operazioni criminali per far arrivare la cocaina in Toscana, nel porto di Livorno, per poi immetterla sul mercato italiano ed europeo. Gli inquirenti hanno spiegato come i clan calabresi fossero “assolutamente a loro agio” nel contrattare direttamente con i “cartelli sudamericani” l’importazione delle otto tonnellate di cocaina che facevano parte di questo singolo affare: partita di droga che grazie alle indagini è stata sequestrata proprio in Colombia, già stoccata e nascosta in un carico di banane, non distante dal porto di Turbo; nel frattempo, nel porto italiano di Livorno, le fiamme gialle sequestravano il cosiddetto “carico di prova” o “spia”, composto da 163 chili di cocaina pura che era stata nascosta in cartoni sempre di banane.
Altopascio
E qui entra in ballo Altopascio. Il nome del comune della Lucchesia infatti, come detto, si legge più volte nella sentenza della Cassazione che ha confermato la maggior parte delle condanne, rinviando in appello solo per la quantificazione della pena la posizione di alcuni imputati, facendo diventare quindi giurisprudenza le ipotesi della Dda calabrese rispetto al traffico di cocaina che vede tutte le organizzazioni criminali italiane concordare con i cartelli sudamericani l’arrivo della droga nei porti di Genova, La Spezia, Gioia Tauro, Latina e soprattutto Livorno grazie alla ‘ndrangheta e ai suoi “amici”. Tonnellate di cocaina che invadono Italia ed Europa che abbisognano di un’organizzazione anche di tipo manageriale per gestire l’intera filiera e non solo criminale. Uno dei passaggi della sentenza che racconta dove avvenivano gli incontri per organizzare l’attracco del container e per ripagare i colombiani della perdita di un carico cosiddetto spia, spiega bene le risultanze investigative ora divenute verità giudiziaria e processuale: “Il 16 agosto 2015, allorquando egli è stato ripreso dalle telecamere in un bar Altopascio, in provincia di Lucca, dove l’imputato si è incontrato con altri due imputati, tra cui due colombiani, venendo nell’occasione immortalato un passaggio di fogli e documenti; uno resta mentre i due colombiani e un altro imputato sono poi ripartiti alla volta della Calabria. Il senso della consegna dei fogli è stato chiarito dalla scansione e degli avvenimenti dei giorni precedenti, dovendosi rammentare che la nave con il carico di cocaina era partita il 2 agosto 2015 dal porto colombiano di Turbo. Occorrendo 15 giorni per l’arrivo della nave, dopo la partenza, chi era ad Altopascio si è attivato per ricevere un’informazione essenziale, ovvero quella sul container dove era occultata la droga. Questa informazione è stata portata in Italia direttamente da un colombiano, il quale è arrivato all’aeroporto di Fiumicino la sera del 16 agosto 2015: al suo arrivo erano presenti altri due imputati con i quali si è diretto in macchina fino ad Altopascio, dove è avvenuto l’incontro con un altro imputato alle tre di notte. Dunque, il foglio consegnato ad Altopascio non poteva che essere il documento che conteneva le informazioni sulla collocazione del container con all’interno le scatole contenenti il carico di cocaina, documento della cui importanza e del cui imminente arrivo c’era traccia in altre intercettazioni”. Il carico “spia” viene poi sequestrato dalla Guardia di Finanza su ordine della Dda e a dicembre dello stesso anno sempre ad Altopascio avviene un altro incontro per “rimediare” alla perdita del carico “spia”. Si legge sempre in sentenza. “Ora, richiamando le considerazioni esposte deve ribadirsi ch e, se anche fosse vero che i colombiani avevano preteso un indennizzo per la perdita del carico di cocaina, è altrettanto vero che tale circostanza non esclude la configurabilità di un nuovo accordo finalizzato a un’altra importazione di cocaina. Il dato fattuale emerso dalle captazioni è che (pur tralasciando un precedente incontro del 4 settembre) il 16 dicembre 2015 due imputati si sono recati ad Altopascio, dove hanno incontrato l’organizzatore in loco dell’affare, ricevendo da questi una somma di denaro, che hanno poi contato in auto”.
A gennaio dell’anno successivo scattò poi il blitz dell’antimafia calabrese e della Gua che portò all’arresto di 54 persone, al sequestro in Colombia della cocaina, e successivamente ai processi, a vario livello e titolo e con differenti riti giudiziari e risultati, di tutte le persone coinvolte secondo i giudici.