Elena Ceste, il tribunale di Asti respinge la richiesta di effettuare esami del dna sui vestiti della vittima

La Falco Investigazioni di Lucca: “Senza analisi sui reperti, privati di una prerogativa essenziale all’accertamento della verità”
Il caso di Elena Ceste giunge ad una conclusione inaspettata. Dopo la richiesta di accesso alle prove, che era stata invocata dalla difesa di Buoninconti, con l’intenzione di effettuare delle analisi forensi su alcune delle prove mai state oggetto di ricerca di tracce biologiche, il giudiceGiorgio Morando ha respinto l’istanza.
La parola era passata agli ermellini della Cassazione per capire chi tra le procure avesse la competenza per l’accesso alle analisi di alcune prove. La decisione dell’estrema corte è caduta sul tribunale di Asti e sulla scrivania del giudice Morando che ha ritenuto di rigettare la richiesta di difesa di Michele Buoninconti, attualmente condannato a 30 anni per l’omicidio della moglie.
Una brutta sorpresa per il pool difensivo composto dall’avvocato Giuseppe Marazzita, dal direttore della Falco Investigazione di Lucca, Davide Cannella e il suo staff e dal biologo forense, dottor Eugenio D’Orio. Ed è proprio sull’intervento dell’esperto genetista, che la difesa sperava di arrivare a determinazioni tramite l’analisi del dna su alcuni vestiti appartenenti alla vittima. Gli indumenti erano stati rinvenuti dal marito, Michele Buoninconti, all’interno del proprio giardino, il giorno della scomparsa di Elena Ceste, avvenuto il 29 gennaio 2014. L’obiettivo, quello di richiedere una revisione del processo per il marito della vittima, Michele Buoninconti, che attualmente sta scontando il carcere per l’omicidio di Elena Ceste. Le indagini delle forze dell’ordine si erano subito orientate nei confronti del compagno della donna, il corpo di Elena venne poi ritrovato alcuni mesi dopo in avanzato stato di degrado. Le determinazioni medico legali non avevano dato esiti certi sulle modalità con cui Elena Ceste aveva perso la vita e nemmeno sulle cause della morte. Nonostante questo, i giudici nei vari gradi del processo, non avevano avuto dubbi sul condannare Michele Buoninconti che attualmente si trova in carcere.
“Il collegio difensivo – fanno sapere con una nota dalla Falco Investigazioni di Lucca -, preso atto di quanto disposto dalla Corte di Asti e rispettando pienamente la decisione, ritiene indispensabile osservare che: la Corte, non consentendo alla difesa di svolgere analisi autonome sui reperti in sequestro, la priva, a parer nostro, di una prerogativa essenziale all’accertamento della verità. Tale privazione sovverte quanto stabilito dall’articolo 111 della Costituzione , sul giusto processo e la parità delle parti processuali. Negando alla difesa gli accertamenti tecnici richiesti, in concreto, il cittadino è privato del pieno esercizio del diritto alla difesa, anche qui sovvertendo quanto statuito all’articolo 24 della Costituzione (diritto inviolabile alla difesa ndr). La prassi di non concedere i reperti alle difese è purtroppo tipica del sistema giudiziario italiano. In America, per fare un solo esempio, tale richiesta è sempre accolta, appunto perché legata ai diritti fondamentali di chi si assume la difesa di un imputato. Proprio grazie a questi accertamenti, solo negli ultimi anni, ben cinquecento cold case, sono stati risolti, e i cittadini ingiustamente condannati hanno avuto giustizia – concludono dalla Falco Investigazioni –. Nel caso di Elena Ceste, per di più, distruggendo questi reperti, si distruggeranno per sempre i diritti fondamentali dell’imputato. Si ringrazia l’avvocato Marazzita per l’importante contributo alla battaglia di legalità”.