Simula un incidente in bici, ma l’operaio è caduto dal tetto di un cantiere: imprenditore edile condannato

La Cassazione chiude definitivamente una vicenda che risale al 2015: il lavoratore risarcito con 100mila euro, 30mila vanno all’Inail
Operaio di origini straniere cade da 4 metri di altezza e si ferisce gravemente in un cantiere della Piana, l’imprenditore edile, suo capo, però decide di simulare un incidente in bicicletta, perché il cantiere non era in regola con la normativa sull’antinfortunistica.
Il 78enne di Lucca, amministratore unico della ditta, è stato condannato in via definitiva a due anni di reclusione e 100mila euro di risarcimento danni all’uomo, oltre a 30mila euro da versare all’Inail e alle spese processuali.
L’incredibile vicenda è stata ricostruita in aula e ora ha visto la pronuncia definitiva da parte dei giudici della suprema Corte di Cassazione. Il quadro completo della vicenda, almeno da un punto di vista giudiziario, è stato svelato in ogni sua parte e quello che è emerso è a dir poco inquietante. Secondo la ricostruzione operata dai giudici nel settembre del 2015, l’operaio mentre stava operando su un tetto in un cantiere edile di Capannori, per la ristrutturazione di un immobile di proprietà dello stesso datore di lavoro, cadeva a terra dalla sommità della copertura del fabbricato, a seguito della rottura di un travicello, riportando gravi lesioni. L’operaio stava lavorando in quella parte della copertura dell’edificio su indicazione del datore di lavoro, senza che fosse stato montato un ponteggio di sicurezza sottostante. Dopo la caduta, era stato soccorso da un collega di lavoro, il quale aveva anche avvisato l’imputato dell’incidente.
Quest’ultimo, spaventato dall’accaduto, aveva raccomandato alla persona offesa di dire che si era trattato di un incidente avvenuto in tutt’altre circostanze, e cioè per strada, mentre andava a fare un giro in bicicletta. Il cantiere, infatti, non era in regola con le norme sulla sicurezza.
Pertanto, non era stata chiamata l’ambulanza e il lavoratore ferito è stato trasportato, con il furgone del datore di lavoro e imputato, in una zona poco frequentata, giudicata idonea a simulare un incidente stradale in bicicletta (anch’essa trasportata sul posto con il furgone), secondo la Cassazione. Qui finalmente l’operaio è stato soccorso dall’ambulanza ed è stato dichiarato ai sanitari che l’uomo era stato investito da un’autovettura mentre si trovava in bicicletta. Nel corso di successivi contatti tra il lavoratore, ricoverato in ospedale, e il datore di lavoro, quest’ultimo, che nel frattempo aveva consultato il proprio commercialista, stando alla sentenza, chiedeva all’operaio di firmare un foglio scritto, fornendo una diversa versione: vale a dire, ammettendo che l’infortunio si era verificato a seguito della caduta dal tetto del fabbricato in ristrutturazione, ma affermando di essere salito sul tetto all’insaputa del datore di lavoro. Analoga dichiarazione era stata già sottoscritta dal collega che lo aveva soccorso, sempre su richiesta dell’imputato.
Tuttavia, l’operaio stavolta si è ribellato e non ha acconsentito a sottoscrivere una simile dichiarazione o a dire altre menzogne, e stanco e esasperato ha raccontato tutta la verità alle forze dell’ordine e poi ai giudici. Verità poi confermata dal processo in tutti i gradi di giudizio.
Dalle sue dichiarazioni, infatti, ne era venuto fuori un contenzioso penale che adesso ha portato alla condanna definitiva dell’imprenditore a due anni di reclusione con l’accusa di lesioni, violenza privata e favoreggiamento. L’imputato era già stato condannato dal tribunale di Lucca e dalla corte d’appello di Firenze. Il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile dagli ermellini. Si legge infatti in sentenza: “Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, prospettando censure di merito o motivi reiterativi di doglianze già proposte in sede di appello, sulle quali la corte territoriale ha risposto adeguatamente, con argomentazioni immuni da vizi logico-giuridici rilevabili in questa sede”.
Il caso è chiuso.