Denunciato per stupro nel paese d’origine: cadute le false accuse ora è rifugiato politico

Dopo una relazione con una persona dello stesso sesso era stato accusato ingiustamente: fuggito, si è rifatto una vita a Lucca
Trentenne accusato di stupro nel suo Paese, ma non era vero: la corte d’Appello di Firenze gli concede lo status di rifugiato. Una storia rocambolesca e terribile al tempo stesso quella alla base della sentenza dei giudici fiorentini dei giorni scorsi ma con lieto fine.
Lui ha poco più di 30 anni e da adolescente è sempre stato bisex, lavorava in un’azienda tessile della Nigeria e si era anche sposato con una donna e da quell’unione era nato anche un figlio. Ma non riesce a controllare le sue pulsioni anche verso le persone del suo stesso sesso e sul luogo di lavoro incontra un altro ragazzo gay con il quale inizia un rapporto. Anche il suo matrimonio ne risente ma il peggio deve ancora accadere.
I due vengono scoperti da alcuni colleghi e a quel punto il ragazzo gay che stava frequentando lo denuncia per stupro per provare a salvarsi, perché in Nigeria la legge contro gay e bisex prevede pene da 10 a 14 anni di carcere. Il suo datore di lavoro a quel punto gli consigli di scappare, di andar via. Nel 2017 arriva in Italia proprio grazie all’aiuto del suo ex “capo”. Non ha difficoltà a integrarsi in Toscana e in Lucchesia, è giovane, sveglio, impara subito la lingua italiana e soprattutto ha un lavoro in mano.
Il ragazzo infatti è un abile sarto e riparatore e trova facilmente anche un impiego. Il suo Paese lo cerca però e lui chiede lo status di rifugiato ma la commissione regionale gliela nega, perché non crede al suo racconto e perché in Nigeria è accusato di stupro. Ma le accuse non reggono nemmeno in Nigeria, assenza totale di prove, anche se le ricerche proseguono e il suo Paese di origine dopo aver scoperto dove si trova ne richiede la consegna. Ma la documentazione a quel punto si basa solo sul fatto che è bisex, che sarà anche illegale in Nigeria ma l’Italia non può, per Costituzione, consegnare cittadini a nessuno sulla base di discriminazioni di carattere religioso o sessuale.
La corte d’Appello mette la parola fine a questa sua odissea e gli concede lo status di rifugiato. Nel 2014 il presidente in carico, Jonathan Goodluck ha firmato la legge che vieta il matrimonio tra persone dello stesso sesso (ssmpa). La legge proibisce “un contratto di matrimonio o un’unione civile tra persone dello stesso sesso, la celebrazione dello stesso e questioni affini” e prevede pene fino a 14 anni di carcere, per i trasgressori. L’unione civile è intesa all’articolo 7, come “qualsiasi accordo tra persone dello stesso sesso di vivere insieme come partner sessuali”, ivi compresi casi quali, “relazioni adulte indipendenti, relazioni di assistenza, partenariati civili, patti civili di solidarietà, relazioni adulte indipendenti, relazioni di assistenza, partenariati civili, patti civili di solidarietà, relazioni di convivenza domestica, relazioni di beneficio reciproco, unioni registrate, relazioni significative, unioni stabili”. Inaccettabile per l’Italia una legge del genere che infatti non viene riconosciuta. In alcune zone musulmane dove vige la “sharia” addirittura essere gay o bisex o lgbt prevede la pena capitale. La commissione regionale non gli aveva comunque creduto, a prescindere. Di diverso avviso la corte d’Appello di Firenze che scrive: “Tutti i particolari sono stati spiegati e circostanziati, anche quelli inerenti alla relazione con il collega, all’interno della impresa ove lavorava, spiegando in maniera dettagliata come avvenivano gli incontri durante il turno di notte. Anche il vissuto psicologico emergeva spontaneo e coerente per una persona che ha dichiarato di esser bisessuale nel corso del tempo. In definitiva, la coerenza interna ed esterna, plausibilità e struttura particolareggiata del racconto privo di lacune rilevate dai decisori rendono il richiedente in generale attendibile e, dunque, integrati tutti gli indicatori di credibilità e dimostrati i fatti dichiarati”.
Il ragazzo ha ottenuto lo status di rifugiato e nelle more del giudizio d’Appello ha ricevuto anche un’offerta di lavoro a tempo indeterminato da una importante azienda tessile della regione, proprio in virtù della sua abilità. Tutto è bene quel che finisce bene.