Medici ‘no vax’, Consiglio di Stato accoglie il ricorso di alcuni psicologi e rimanda gli atti al Tar di Firenze

Tema del contendere la possibilità di esercitare anche a distanza seppur non vaccinati, senza mettere a rischio l’incolumità dei pazienti
In attesa che sulla sospensione dei medici “no vax” si pronunci la Corte Costituzionale, l’eterna battaglia degli ultimi due anni continua.
Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di alcuni medici psicologi della Toscana, tra cui anche alcuni della Lucchesia, e a differenza del Tar che aveva inviato gli atti al giudice ordinario, ha ritrasmesso gli atti al primo grado di giudizio amministrativo, in questo caso il Tar di Firenze.
Insomma ancora la parola fine sulla querelle tra medici che non si sono vaccinati e i rispettivi consigli dell’ordine che hanno, inevitabilmente, sospeso i loro iscritti, come prevede la normativa, è ben lontana dall’essere conclusa. Almeno per la parte relativa ad alcuni aspetti del lavoro medico, quello che certamente non può spalancare le porte alla circolazione del Covid: il lavoro da casa.
Gli psicologi infatti sostengono di poter tranquillamente in molti casi lavorare e operare in remoto utilizzando la moderna tecnologia e le videoconferenze, ormai alla portata di tutti. Un contenzioso quello tra medici no vax e la norma vigente che alla luce del rialzo dei casi, col picco estivo previsto per luglio, e in attesa di capire cosa accadrà poi in autunno, si farà sempre più aspro. Nessuno intende mollare le proprie posizioni. Uno dei tanti tavoli dove si combatte questa battaglia è proprio quello dei tribunali amministrativi.
Scrive il Consiglio di Stato nella sentenza pubblicata ieri sul caso degli psicologi toscani: “Dunque il diritto degli interessati a svolgere liberamente un’attività professionale, ovvero un’attività lavorativa intellettuale di rilievo economico, ai sensi degli articoli 4 e 41 della Costituzione, oltre ad essere sottoposto all’esame di Stato ai sensi dell’articolo 43, quinto comma, viene conformato e limitato dalla legge affinché non si svolga – secondo l’insegnamento dell’articolo 41, secondo comma, “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute”, oltreché “all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Come avviene in pressoché tutti i settori nei quali gli atti autoritativi incidono su attività riconducibili all’esercizio di ‘diritti’, le posizioni correlative sono di interesse legittimo, che costituisce il diaframma intercorrente tra l’atto autoritativo e la sfera giuridica del suo destinatario. In conclusione, poiché è stato impugnato un atto autoritativo (poco importando quanto alla determinazione della giurisdizione che si tratti di un atto vincolato), va rilevata la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo. L’appello deve essere pertanto accolto, con la conseguente restituzione del fascicolo al giudice di primo grado, ai sensi dell’articolo 105 del codice del processo amministrativo”.
La parola “ripassa” al Tar di Firenze.