Spaccio in Versilia, confermate le condanne a 5 anni e 4 mesi per tre pusher

9 luglio 2022 | 10:37
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Spaccio in Versilia, confermate le condanne a 5 anni e 4 mesi per tre pusher

La Cassazione ha respinto il ricorso sulla procedura on line seguita durante il processo di primo grado

Con un’operazione di polizia contro lo spaccio degli stupefacenti in Versilia nel 2019 era stata sgominata una banda di pusher, tutti di origine straniera.

I carabinieri avevano arrestato tre persone. I tre erano stati colpiti da una misura cautelare emessa dal gip Trinci su richiesta del pm Elena Leone che aveva coordinato le indagini. In manette erano finiti due uomini e una donna: si tratta di Meher Mejeri, 36 anni, tunisino, Sacha Magnaini, 43 anni, viareggino e Elena Croitoru, 43enne di origini rumene. La suprema corte di Casszione ha confermato le condanne a 5 anni e 4 mesi di reclusione per i tre componenti della banda.

Con sentenza emessa in data 9 marzo 2021, infatti, la corte di appello di Firenze aveva dichiarato inammissibili gli appelli proposti da Meher Mejeri, Sascha Mugnaini ed Elena Croitoru avverso la sentenza pronunciata dal giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Lucca che, all’esito di giudizio abbreviato nel 2020, aveva dichiarato la responsabilità penale dei tre imputati  per vari reati concernenti il traffico di sostanze stupefacenti, e li aveva condannati, ciascuno, alla pena di cinque anni e quattro mesi di reclusione e 20mila euro di multa. La corte d’Appello aveva ritenuto l’impugnazione inammissibile perché presentata fuori termine, ritenendo non applicabile la sospensione dei termini di cui all’articolo 83, comma 2 del decreto legge numero 18 del 2020.

I tre in Cassazione avevano provato a sollevare dubbi circa la procedura seguita durante il processo di primo grado avvenuto nel 2020 in pieno lockdown. Ma per gli ermellini le cose stanno diversamente. Si legge infatti in sentenza: “Preliminarmente, è utile precisare che l’udienza al cui esito è stata pronunciata la sentenza impugnata è stata celebrata perché gli imputati, odierni ricorrenti, ed il loro difensore, hanno presentato richiesta di trattazione del processo, con esclusione della sospensione dei termini, ed hanno assistito alla stessa da remoto. In ogni caso, la giurisprudenza ha anche chiarito che, nel vigore della disciplina emergenziale pandemica da Covid-19, la richiesta espressa di trattazione da parte del detenuto ai sensi di legge non richiede l’impiego di formule sacramentali, e che, quindi, la dichiarazione del detenuto di voler presenziare all’udienza in collegamento da remoto è direttamente espressiva della volontà di trattazione del procedimento. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende”.

Caso chiuso.