Cancro all’utero, la dottoressa Rubino: “La causa principale è l’infezione da Hpv, la prevenzione è fondamentale”

Il medico ginecologo dell’ospedale Versilia nominata responsabile dello screening in tutta l’area vasta dell’Asl Toscana nord ovest
Un incarico importante quello dato dalla direzione dell’Asl Toscana nord ovest alla dottoressa Silvia Maria Rubino, ginecologa in forza al reparto dell’ospedale Versilia, diretto dal dottor Andrea Antonelli
Il medico, infatti, si occuperà dello screening del cancro all’utero non solo nel nosocomio di Lido di Camaiore, ma di tutta l’area vasta.
La prevenzione come prima difesa, per identificare precocemente lesioni e risolverle, quanto è importante?
“La prevenzione è uno dei baluardi della medicina. Nel caso del cancro del collo dell’utero è fondamentale. È uno dei pochi tumori per il quale, con semplici test, è possibile attuare una prevenzione primaria ossia intervenire su alterazioni cellulari che col tempo, se ignorate, possono diventare cancro.In campo oncologico si fa di solito prevenzione secondaria ovvero si cerca di diagnosticare la patologia neoplastica il più precocemente possibile in modo da garantire una piena guarigione o una più lunga sopravvivenza. Nel caso del tumore del collo dell’utero lo scopo della prevenzione è quello di fare in modo che la neoplasia non insorga”.
Quali sono i test impiegati nello screening per il tumore del collo dell’utero?
“Lo screening del collo dell’utero si avvale di due semplici test: il pap test e l’Hpv test. Nella nostra regione tutte le donne residenti di età compresa tra i 25 e i 64 anni vengono invitate periodicamente a sottoporsi gratuitamente a un test di screening che è rappresentato dal pap test nelle donne nella fascia di età 25-33 anni e dal test Hpv nelle donne nella fascia di età 34-64 anni”.
In Italia, secondo i dati del ministero della Salute. il carcinoma della cervice uterina rappresenta il quinto tumore per frequenza nelle donne sotto i 50 anni di età e complessivamente l’1,3% di tutti quelli diagnosticati e la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi di tumore del collo dell’utero in Italia è pari a circa il 68%. Secondo la sua esperienza, quanti casi, nell’ultimo semestre del corrente anno, si sono presentati sulla costa e quale l’età media di età delle donne colpite?
“Nel nostro ospedale afferiscono un significativo numero di donne affette da patologia neoplastica provenienti da zone limitrofe che vengono poi sottoposte a trattamento chirurgico. Quindi se mi dovessi basare sui numeri direi che i casi stanno aumentando il che sarebbe purtroppo in accordo con i dati nazionali e mondiali ma quantificarle sovrastimerebbe la reale incidenza del tumore del collo dell’utero sulla costa”.
Da cosa può essere causato il tumore all’utero?
“Numerosi studi hanno evidenziato che la causa principale del tumore del collo dell’utero è l’infezione da Hpv. Questo non equivale a dire che una donna con un test Hpv non negativo necessariamente svilupperà il tumore del collo dell’utero. Anzi, nella maggior parte dei casi l’infezione regredisce spontaneamente. L’ acquisizione dell’infezione è necessaria per sviluppare il tumore, tuttavia vi sono anche altri fattori che contribuiscono all’insorgenza del cancro, come il fumo di sigaretta, le abitudini sessuali, la presenza in famiglia di parenti stretti con questo tumore, una dieta povera di frutta e verdura, l’obesità”.
Esiste una ereditarietà?
“Come per altri tipi di tumore si eredita la predisposizione a svilupparlo ma perché il tumore insorga non basta la familiarità ma devono intervenire numerosi altri fattori come già detto”.
E’ possibile prevenire l’infezione da Hpv?
“Si, è possibile prevenire l’infezione da Hpv e quindi il tumore del collo dell’utero, ma non solo quello, sottoponendo i ragazzi e le ragazze alla vaccinazione anti Hpv. Il dodicesimo anno di vita è l’età preferibile per l’offerta attiva della vaccinazione anti-Hpv (raccomandata e gratuita), a tutta la popolazione. La vaccinazione è inoltre offerta gratuitamente alle giovani donne fino al venticinquesimo anno di vita e a soggetti a rischio di entrambi i sessi”.
Se si è fatto il vaccino contro l’Hpv si deve comunque aderire al programma di screening?
“Il razionale della vaccinazione a entrambi i sessi non sta solo nella prevenzione del tumore del collo dell’utero nelle donne ma anche nella prevenzione dei tumori di altre sedi anatomiche in entrambi i sessi sempre causati dal papillomavirus che sono in aumento. Quindi la vaccinazione è fondamentale. Fondamentali ai fini della prevenzione sono inoltre corrette abitudini di vita e un’educazione alla sessualità responsabile. Lo screening non deve essere mai abbandonato. È allo studio e in sperimentazione la validità e l’efficacia di una variazione nell’età di inizio e negli intervalli dei richiami dello screening nelle giovani donne che si sono sottoposte a vaccinazione nel corso del dodicesimo anno di vita.
Quando un test mostra cellule pre e/o tumorali, ci sono ulteriori esami di approfondimento, e, se si, quali?
“Se il test Hpv risulta positivo viene eseguito anche un pap test che quindi diventa un esame di completamento perché seleziona le donne che hanno modificazioni cellulari e che devono fare la colposcopia; se invece la citologia non evidenzia alterazioni la donna ripeterà il test Hpv dopo un anno. Dai 25 a 30 anni l’esame di riferimento rimane il pap test da eseguirsi ogni tre anni. Questa scelta è dovuta al fatto che in giovane età la probabilità di avere una infezione da Hpv, che nella maggior parte dei casi si risolve spontaneamente, è molto alta senza che questa assuma una importanza clinica. Nei casi in cui la citologia rileva la presenza di cellule con alterazioni, il protocollo dello screening per il cancro del collo dell’utero prevede l’esecuzione di esami di approfondimento. In primo luogo la donna è invitata a eseguire una colposcopia. Si tratta di un esame che, attraverso l’utilizzo di un apposito strumento (il colposcopio) permette la visione ingrandita della cervice uterina. In tal modo il medico è in grado di confermare la presenza di lesioni sul collo dell’utero e valutarne l’estensione. Alla colposcopia può far seguito una biopsia, cioè un prelievo di una piccola porzione di tessuto anomalo da sottoporre a un’analisi che confermi definitivamente le caratteristiche esatte della sospetta lesione”.
Affrontare un cancro, dopo la diagnosi, e anche dopo un intervento chirurgico, è un percorso duro, soprattutto se la donna deve affrontare anche la chemio terapia. Come viene seguita la paziente?
“Si, sono d’accordo. La diagnosi di tumore comporta delle implicazioni personali, familiari e sociali importanti e porta uno sconvolgimento totale nella vita di una donna. Il percorso oncologico è sfiancante fisicamente, e mi riferisco a interventi chirurgici distruttivi ed eventuali successive terapie farmacologiche e radioterapiche, ma lo è altrettanto psicologicamente. Se la nostra medicina è stata abituata finora a farsi carico delle problematiche fisiche, da qualche anno si sta sviluppando invece una corrente che tende a prendere in carico la paziente in maniera più globale guardando l’aspetto emotivo, psicologico e sociale.Nel nostro ospedale, il Versilia, la paziente oncologica viene presa in carico da un team multidisciplinare composto da oncologo, ginecologo, chirurgo, radioterapista, radiologo, anatomopatologo e psicooncologo che se, da una parte, si occupa dell’aspetto più strettamente fisico pianificando e eseguendo tutti gli esami di follow-up previsti dalle linee guida nazionali, dall’altra non trascura i risvolti psicologici attraverso colloqui individuali con le donne che ne fanno richiesta”.