Piazza una telecamera all’ingresso del magazzino dove lavora per beccare un ladro di pomodori, operaio licenziato

16 agosto 2022 | 15:49
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Piazza una telecamera all’ingresso del magazzino dove lavora per beccare un ladro di pomodori, operaio licenziato

L’ex dipendente dell’azienda si è difeso spiegando che nel terreno di famiglia adiacente c’erano stati furti di ortaggi ma i giudici non gli hanno creduto

Piazza una telecamera digitale, collegata in remoto al suo smartphone, nell’azienda dove lavorava, puntata sull’ingresso del magazzino da dove entrano ed escono clienti e colleghi, scoperto dal noto caseificio della Piana di Lucca viene licenziato in tronco, nel 2018.

Una strana storia quella finita sul tavolo del giudice Antonella De Luca del tribunale di Lucca che nei giorni scorsi ha emesso sentenza contraria alle richieste dell’operaio che aveva impugnato il licenziamento dell’azienda. Molte le contraddizioni e i misteri ancora irrisolti e che saranno valutati in altre sedi. L’uomo prima aveva ammesso di aver acquistato la telecamere e l’attrezzatura ma poi aveva affermato di non averla installata.

Nella sua versione ultima, stando ai resoconti processuali, aveva spiegato di voler installare la telecamere non per spiare i colleghi e i clienti del caseificio ma per monitorare un terreno adiacente allo stabilimento dove lavorava, di proprietà del padre, dove si erano verificati furti di pomodori e altri ortaggi. Una ricostruzione che non ha convinto il giudice che ha sancito l’assoluta legittimità del licenziamento. Restano da comprendere i motivi reali del gesto.

Ad ogni modo per alcuni mesi l’uomo ha potuto vedere chi entrava e usciva dall’ingresso del magazzino, compresi i colleghi, in violazione della normativa vigente. Da questo comportamento il licenziamento per giusta causa.

Si legge infatti in sentenza: “Dalla documentazione prodotta e dall’istruttoria espletata è emerso che la telecamera acquistata dal ricorrente, circostanza questa pacifica, era posizionata in modo da riprendere la porta di ingresso del magazzino, diversamente da quanto asserito dal ricorrente che giustifica il posizionamento della telecamera voluta e su incarico del padre per tutelare la piantagione degli ortaggi presente nel terreno attiguo”.

Il racconto dei fatti ricostruito dai giudici nella sentenza e nelle relative motivazioni diventa sempre più chiaro, pur nella sua particolarità e singolarità. Prosegue la sentenza: “Ancora avendo riguardo al contenuto della relazione degli investigatori incaricati dalla resistente si evince che gli stessi rinvenivano altresì un router di marca tp -link, con la relativa confezione che riportava sul retro l’etichetta del destinatario. Ebbene le giustificazioni del ricorrente che ammette di aver acquistato la telecamera per conto del padre ma esclude di averla utilizzata e di aver acquistato l’ulteriore materiale rinvenuto a cui la stessa era collegato risultano assolutamente inverosimili; d’altra parte sulla confezione del router rinvenuto vi è pacificamente il suo nominativo e indirizzo. Né il ricorrente ha dedotto o comunque ipotizzato una ricostruzione differente a fronte invece dell’evidente prova fornita dalla resistente”.

Per i giudici lucchesi è evidente che già la sola circostanza, che si ritiene provata, dell’istallazione di una telecamera per monitorare gli ingressi e le attività che avvenivano nel magazzino, di per sé è una condotta di gravità tale da ledere il rapporto di fiducia tra il datore di lavoro e il lavoratore, “senza voler tuttavia tacere in ordine alle potenziali conseguenze dannose a cui l’azienda è stata esposta. Basti pensare che gli ulteriori dipendenti avrebbero ben potuto avanzare azioni nei confronti del datore che illecitamente li ritraeva”. In altre sedi le analisi sul movente di un comportamento così strano. L’uomo è stato condannato anche circa 5mila euro di spese di lite e di giudizio.