Maxi raggiro con il finto cliente del Qatar, guai per noto imprenditore del marmo

Il titolare condannato per tentata truffa ora ha perso anche la causa civile su un presunto credito da un milione e 400mila euro, base di partenza per il finto business
Un rocambolesco raggiro nel settore del marmo che ha avuto risvolti penali e civili, tra Siena e Lucca, ora la corte d’Appello di Firenze ha ricostruito l’intera incredibile vicenda. Nella sentenza a firma dei giudici Afeltra, Breggia e Picardi, pubblicata nei giorni scorsi è emerso che nell’aprile del 2019 il Tribunale di Lucca aveva accolto il ricorso della società senese contro i decreti ingiuntivi di circa 1milione e 400mila euro che la ditta lucchese aveva ottenuto in virtù di un presunto credito.
Ma alla base del debito che è stato annullato sia dal tribunale di Lucca sia dalla corte d’Appello fiorentina c’era una storia di una tentata truffa per la quale il titolare della società della provincia Lucca, operante nel settore del marmo, a giugno del 2019 era stato condannato penalmente a 4 mesi di reclusione, all’interno di un procedimento giudiziario non ancora definitivo. Per gli stessi fatti rimaneva da definire la vicenda civile legata ai soldi e in questa sede sono emersi tutti i fatti, e come si sarebbero svolti secondo i giudici. Se ci saranno o meno ulteriori indagini di tipo penale sulla vicenda lo si potrà sapere solo nelle prossime settimane. La ditta lucchese avrebbe, sempre secondo i giudici, venduto alla società senese, un quantitativo di marmo che poi dopo la lavorazione sarebbe stato venduto tramite una seconda società spagnola all’acquirente finale, un grosso cliente del Quatar. Ma era tutto falso, per i giudici, e questa operazione doveva servire semplicemente a chi l’aveva organizzata, cioè la ditta lucchese, per ottenere contanti e soprattutto fatture da far visionare ad alcune banche per prendere tempo in alcune situazione debitorie. Ma andiamo con ordine.
I fatti e la condanna penale della ditta lucchese per tentata truffa
Stando al resoconto giudiziario del processo civile d’Appello, la società lucchese aveva promosso ricorso allegando di essere creditrice nei confronti della ditta senese, rispettivamente, delle somme di euro 348.956,97, euro 475.600,00, euro 266.000,00 ed euro 263.421,41, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, quale corrispettivo per la fornitura di marmo richiesta per eseguire un lavoro destinato al mercato estero. Emesso il decreto ingiuntivo milionario per i richiesti importi, la ditta senese si opponeva e otteneva dal Tribunale di Lucca l’annullamento dei decreti ingiuntivi. Era emerso in sede di opposizione che la ditta lucchese aveva proposto alla ditta senese “un affare”, rappresentando di avere ottenuto un’importante commessa in Qatar. Poco tempo dopo tra il 2012 e il 2013, la ditta lucchese riferendo la difficoltà delle società da lui rappresentate di gestire direttamente l’operazione, aveva proposto ditta di Siena di subentrare nel rapporto con il cliente finale del Qatar, o suoi diretti intermediari, dietro impegno di quest’ultima di utilizzare soltanto il marmo fornito dalle sue società e ad un prezzo maggiorato; soltanto la ditta lucchese però, poteva avere rapporti con il cliente finale.
Dopodichè, sempre secondo i giudici, la ditta lucchese aveva procurato alla società senese solo un ordine generico da parte della società spagnola, che doveva fare da ulteriore intermediaria con il fantomatico cliente del Quatar e aveva ottenuto dalla ditta di Siena la sottoscrizione dei contratti di fornitura datati 5 novembre 2012 e di alcune fatture prodotte nella fase monitoria, da lui portate agli istituti di credito per ottenere un “anticipo” sugli importi indicati, nonché la corresponsione della somma di euro 10.000,00 a titolo di acconto sulla fornitura della merce. Ma la ditta lucchese frattanto, avevano fornito ai “soci” di Siena materiale lapideo di scarsa qualità e per quantitativi inferiori non corrispondenti alle fatture emesse, richiedendone un corrispettivo non congruo rispetto al valore di mercato; e a seguito delle insistenti richieste di procedere ad una formalizzazione della complessa operazione commerciale verbalmente concordata dalle parti, era emerso che il cliente finale del Qatar non era mai esistito e che il contratto stipulato con la società spagnola era in realtà di mera rappresentanza, tant’è che quest’ultima non aveva mai effettuato, per sé o per conto di terzi, ordinativi di materiale lavorato. La ditta di Siena per questi fatti aveva presentato querela e successiva integrazione alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Siena nei confronti della ditta lucchese il cui titolare nel 2019, come detto, veniva condannato per tentata truffa a 4 mesi di reclusione, in primo grado. Al momento non si conoscono gli esiti definitivi di questo procedimento giudiziario penale. Civilmente invece la ditta lucchese dopo aver perso il primo grado di giudizio a Lucca ora ha perso anche il secondo grado, per i decreti ingiuntivi e per il presunto credito della ditta senese.
La sentenza civile d’Appello che fa luce sull’intera vicenda
E così è stato, la corte d’Appello di Firenze, infatti, ha rigettato il ricorso della società lucchese condannandola anche a circa 23mila euro di spese di giudizio. Si legge infatti nella sentenza d’Appello: “Ne discende che il raggiro è consistito non solo nel mendacio relativo all’esistenza della fantomatica commessa qatariota, così da indurre la ditta senese alla conclusione dei contratti di fornitura del 5 novembre 2012, ma pure nel porre in essere una serie di condotte volte a rendere credibile, anche nella fase attuativa del rapporto, la falsa rappresentazione della realtà, attraverso il coinvolgimento di società estere e la diretta e costante ingerenza, nella esecuzione delle lavorazioni, del medesimo imprenditore lucchese. Il tutto allo scopo di rendere verosimile ciò che, invece, rimaneva confinato in una dimensione assolutamente evanescente (l’esistenza del cliente del Qatar) e per conseguire un abbattimento della esposizione debitoria, contratta dalla società del gruppo, nei confronti del ceto bancario, attraverso lo sconto delle fatture emesse nei confronti della ditta di Siena (circostanza tempestivamente addotta da quest’ultima, ripresa nella sentenza impugnata, e rimasta incontestata). Del resto, lo stato di crisi delle società del gruppo lucchese emerge in maniera inequivocabile dai report della Assicom, prodotti da parte appellata, da cui si evince l’esistenza di una pesante esposizione debitoria nei confronti del ceto bancario a fronte di utili modesti e, peraltro, in costante diminuzione”. Questo il resoconto giudiziario di questa intricata e complessa vicenda che forse non si è ancora conclusa del tutto.