Intervento sbagliato per la protesi all’anca, casa di cura condannata al risarcimento

Il tribunale ha contestato scelta e posizionamento del presidio: 45mila euro alla donna operata a Lucca
Le sbagliano la protesi all’anca, ora sarà risarcita con circa 45mila euro.
Questa la decisione del tribunale di Lucca che nella sentenza pubblicata nei giorni scorsi, a firma del giudice Alfonsina Manfredini, ha condannato una nota casa di cura privata di Lucca a pagare i danni alla donna. La clinica aveva provato a chiamare in solido nella responsabilità anche chi aveva costruito materialmente la protesi ma il giudice ha rigettato tale richiesta perché a seguito di perizie disposte dal tribunale è emerso che i danni sono stati provocati da difetti conosciuti e noti di tale protesie da un difetto di posizionamento della stessa e non da irregolarità della protesi stessa che in alcuni interventi andava bene ma non in altri e tutto ciò era noto, secondo i giudici, alla clinica per gli avvisi ministeriali.
La donna si è resa conto che quei dolori e la difficoltà di deambulazione nonostante l’intervento fosse dovuto a un scelta errata e a un posizionamento erroneo solo quando poi si è rivolta all’ospedale di Pisa per correggere l’errore. A quel punto ha fatto causa alla clinica di Lucca nel 2016 e ora è arrivata la sentenza che le dà ragione e che ha quantificato il danno patito. Quindi, solo dopo l’esecuzione del secondo intervento è emersa l’esistenza e la gravità dei danni subiti dall’attrice, nonché la riconducibilità degli stessi all’errata esecuzione del primo intervento. Si legge infatti in sentenza: “Per quanto concerne l’an della responsabilità, è stata raggiunta la prova dell’inadempimento dell’obbligo contrattuale assunto da parte della struttura sanitaria nonché del nesso di causalità rispetto agli eventi lamentati come indicato dal collegio peritale”.
Infatti, i consulenti tecnici incaricati dal giudice, a seguito dell’esame obiettivo della donna hanno rilevato che la stessa presentava “deambulazione autonoma con zoppia di fuga a destra e possibilità di procedere su punte e talloni limitata di circa la metà” e, pur rilevando che “non emergerebbero, pertanto, responsabilità di tipo medico/tecnico, in quanto se si dimostra l’indicazione assoluta all’intervento, la criticità del caso consiste, come già evidenziato, nella scelta e nell’uso di una protesi, sicuramente sul mercato all’epoca dell’esecuzione materiale dell’intervento, ma foriera di possibili complicanze, che già erano note comunque solo agli ultraspecialisti della materia, circostanza esimente per i chirurghi ortopedici”.
“Tanto premesso, in relazione alla cronologia dell’impianto, nulla quaestio circa la lesività indotta dalla protesi in capo all’ortopedico operatore”, nondimeno hanno evidenziato che nel caso di specie deve essere messo in luce un ulteriore aspetto negativo dell’impianto analizzato e cioè che “la casa di cura convenuta (come ente erogatore di assistenza) a seguito dei recall ufficiali italiani ed internazionali avrebbe dovuto procedere ai richiami delle protesi in tempi ragionevoli e verificare anche le possibili complicazioni per evitarle”.
La casa di cura è stata condannata a che a 13mila euro di spese di lite e di giudizio. La donna era difesa dall’avvocatessa Veronica Venturi. Questa la decisione dei giudici di primo grado.