Mette due ‘mi piace’ a commenti contro il corpo di polizia penitenziaria: il Tar avalla le sanzioni del ministero

20 novembre 2022 | 11:56
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Mette due ‘mi piace’ a commenti contro il corpo di polizia penitenziaria: il Tar avalla le sanzioni del ministero

Per il giudice amministrativo il like sui social equivale a un assenso pieno al post e al suo contenuto

Occhio ai like sui social, non sono considerati “neutri” dalla giustizia.

Attenzione, dunque, ai “mi piace,” lasciati su Facebook e sui social, se siete dipendenti pubblici, perché per la giustizia amministrativa equivale a un assenso pieno al post e al suo contenuto. E se il post è ritenuto offensivo nei confronti della pubblica amministrazione il rischio sono sanzioni disciplinari e pecuniarie da parte dell’amministrazione. Se impugnate al Tar tali decisioni comportano il rischio non solo di perdere la causa ma di spendere pure soldi in avvocati.

Questa storia particolare riguarda un agente scelto della polizia penitenziaria che lavora in una casa circondariale della Toscana, che dopo aver ricevuto una doppia sanzione, disciplinare e pecuniaria, dal dipartimento competente del ministero della giustizia, nel 2018, aveva deciso di impugnare queste decisioni perche a suo dire le stesse “oltre al venire in essere di diversi profili di eccesso di potere, in quanto la motivazione sarebbe del tutto carente, illogica, irrazionale e contraddittoria” farebbe “emergere di una disparità di trattamento nei confronti di altri colleghi che avrebbero assunto comportamenti analoghi”.

Ma il Tar di Firenze nella sentenza pubblicata il 18 novembre scorso gli ha dato torto.  L’uomo era stato ritenuto responsabile per aver inserito su un gruppo Facebook, del suo settore, due commenti in relazione a due distinti post, apponendo in calce a ciascuno di essi un “mi piace”. Ma per i giudici amministrativi “il ricorso è infondato e va respinto”.

Lapidaria la sentenza del Tar che recita testualmente: “Il primo dei due post asseriva l’esistenza di una disparità di trattamento tra rapporti disciplinari redatti a carico dei detenuti e quelli nei confronti del personale circa un presunto insabbiamento delle segnalazioni a carico dei” con ulteriori riferimenti ai dipendenti. “Il secondo post – prosegue la sentenza – denigrava i funzionari del corpo di polizia penitenziaria”.

“Nel primo caso – spiega il giudice amministrativo – si tratta di un’accusa grave a carico dei funzionari senza che fossero addotti elementi oggettivi per confutarla, mentre il secondo si limita a contenere delle espressioni offensive, contrarie alla minima continenza e civile espressione di critica alla quale il ricorrente era tenuto”. E poi il nocciolo della questione: “È peraltro evidente che l’apposizione del cosiddetto “mi piace” non costituisce un comportamento “neutro” e irrilevante, ma comporta l’espressione, seppur implicita, di un pensiero, di adesione al post e al commento che si legge e in relazione al quale si intende manifestare una condivisione, volendo così rendere evidente a tutti la propria adesione e la volontà di fare proprio il commento di cui si tratta. Si consideri che l’amministrazione ha dimostrato come il gruppo costituiva un gruppo aperto (e non chiuso come sostenuto dal ricorrente) che vantava un considerevole numero di iscritti (pari a cinquantamila followers e quasi 47mila iscritti”.

Al momento non risulta ancora proposto appello al Consiglio di Stato, se ne saprà di più nei prossimi giorni.