Beccato con una Porsche rubata: condannato per riciclaggio

Sentenza definitiva nei confronti di un 64enne finito in un giro di auto di lusso
Beccato a Civitavecchia dalla polizia di frontiera mentre cercava di imbarcare una Porsche per portarla in Tunisia ora è stato condannato in via definitiva per riciclaggio dalla suprema corte di Cassazione.
L’uomo, 64 anni di Seravezza, alcuni anni fa era stato fermato dalla polizia che stava seguendo un giro di auto di lusso di provenienza illecita e per le quali erano stati creati documenti falsi per poi essere vendute sotto costo a clienti che le esportavano all’estero per trarne profitto. Nel mirino degli investigatori laziali era finito anche il cittadino della Lucchesia che era stato già condannato in primo e secondo grado.
Stando al resoconto processuale gli investigatori lo avevano bloccato allo scalo marittimo di Civitavecchia mentre stava imbarcando una Porsche Cayenne su una motonave diretta in Tunisia, perché, “senza avere concorso nel reato presupposto di appropriazione indebita di tale autovettura commesso da altri (il quale, avendone avuto il possesso, quale amministratore di una società, sulla base di un contratto di leasing, se ne era appropriato), compiva in relazione a detto automezzo l’operazione consistita nell’utilizzo di una falsa carta di circolazione, redatta su un modulo risultato rubato in bianco alla Motorizzazione civile e compilato con i dati dell’automezzo e la falsa indicazione, quale proprietario, della predetta società, in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa della menzionata automobile di lusso”.
L’uomo aveva detto di aver fatto semplicemente un affare tramite alcune sue conoscenze e di averla pagata 18mila euro e che stava andando in Tunisia per motivi legati al suo lavoro, e affermando che la carta di circolazione era così ben contraffatta da ingannare chiunque. Ma gli investigatori prima e gli inquirenti poi non gli hanno creduto ed è finito sotto processo per riciclaggio. Ovviamente si tratta solo dell’ultimo anello di una catena ben più grande e a lui sconosciuta che faceva capo a una gang di italiani che commettevano crimini vari nel settore delle auto di lusso e extralusso, poi rintracciata e sgominata dai giudici laziali. Il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile dagli ermellini che lo hanno condannato anche al pagamento delle spese legali e di giudizio e a 3mila euro di ammenda.