Protesi all’anca difettosa, clinica condannata a risarcire con 40 mila euro la paziente

20 dicembre 2022 | 13:33
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Protesi all’anca difettosa, clinica condannata a risarcire con 40 mila euro la paziente

L’impianto metallico aveva causato problemi alla donna che si era dovuta rioperare

L’operazione era stata eseguita correttamente ma la scelta della protesi era errata: con questa ipotesi una casa di cura di Lucca è stata condannata dal Tribunale a risarcire una donna con circa 40mila euro di danni subiti, 2500 euro di spese mediche e circa 14mila euro di spese legali e di lite.

I fatti risalgono al 2015 quando la donna dopo una serie di visite mediche decide di sottoporsi a un intervento chirurgico per l’applicazione di una protesi all’anca. Tutto ciò si era reso necessario per i problemi che la affliggevano da troppo tempo ormai e che erano in costante peggioramento con evidenti e crescenti difficoltà di movimento e di condurre una vita normale.

Ma i suoi problemi invece di terminare stavano, a sua insaputa, per peggiore ulteriormente tanto che l’anno successivo è stata costretta a operarsi nuovamente, stavolta a Pisa, per una seconda protesi di materiale diverso dalla precedente. A quel punto la donna si è resa conto che i sanitari della clinica lucchese avevano commesso un errore e ha deciso di fare causa. Nei giorni scorsi il giudice del Tribunale cittadino, Anna Martelli, le ha dato parzialmente ragione. La donna infatti aveva chiesto oltre 250mila euro di risarcimento per i danni subiti ma due perizie mediche disposte dal Tribunale hanno dimostrato che la protesi era stata impiantata in modo assolutamente corretto e che i sanitari della clinica di Lucca avevano sbagliato la scelta del tipo di protesi. Già da tempo, infatti, secondo la sentenza, erano note le complicanze di quel tipo di protesi in metallo (mom) e che quindi si sarebbero dovute e potute fare scelte differenti e a disposizione dei medici. Si legge infatti in sentenza: “I consulenti tecnici incaricati, a seguito dell’esame obiettivo dell’attrice hanno rilevato che la stessa presentava deambulazione autonoma con zoppia di fuga a destra e possibilità di procedere su punte e talloni limitata di circa la metà” e, pur rilevando che non emergerebbero, pertanto, responsabilità di tipo medico/tecnico, in quanto se si dimostra l’indicazione assoluta all’intervento, la criticità del caso consiste, come già evidenziato, nella scelta e nell’uso di una protesi (mom), sicuramente sul mercato all’epoca dell’esecuzione materiale dell’intervento, ma foriera di possibili complicanze, che già erano note comunque solo agli ultraspecialisti della materia, circostanza esimente per i chirurghi ortopedici routiniers operanti presso una casa di cura di provincia (come quello del caso di specie). Tanto premesso, in relazione alla cronologia dell’impianto, nulla quaestio circa la lesività indotta da mom in capo all’ortopedico operatore, nondimeno hanno evidenziato che nel caso di specie deve essere messo in luce un ulteriore aspetto negativo dell’impianto di mom analizzato. La Casa di cura convenuta (come ente erogatore di assistenza) a seguito dei recall ufficiali italiani ed internazionali avrebbe dovuto procedere ai richiami delle mom in tempi ragionevoli e verificare anche le possibili complicazioni”. Da queste motivazioni la sentenza di condanna per la clinica lucchese.