L’unione civile non si trasforma in matrimonio se uno dei due coniugi cambia sesso: la Corte Costituzionale rigetta i dubbi del tribunale di Lucca

Questioni di legittimità inammissibili “per difetto di attualità e concretezza”. Per il giudice c’era, invece, una sorta di disparità di trattamento
Non è possibile convertire automaticamente in matrimonio una unione civile tra due persone gay nel caso in cui uno dei due partner cambi sesso, diventando quindi di sesso opposto. Mentre viene convertito in unione civile un matrimonio nel quale uno dei due cambia sesso diventando dello stesso sesso del partner.
Questo secondo il tribunale di Lucca avrebbe creato una sorta di disparità di trattamento e perciò aveva chiesto l’intervento della Consulta. La Corte Costituzionale invece ha dichiarato non fondate le questioni sollevate dal tribunale di Lucca in un procedimento giudiziario civile in corso nel 2022. Il 14 gennaio dello scorso anno, infatti, il tribunale lucchese con una ordinanza aveva ritenuto doversi sollevare questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 26 l. 76/2016, nella parte in cui lo stesso prevede, che l’intervenuto mutamento di sesso di uno degli uniti civilmente abbia a determinare lo scioglimento automatico dell’unione civile, senza facoltà per i membri della sciolta unione civile di convertire quest’ultima in matrimonio.
Al contrario, il successivo comma 27, prevede che alla rettificazione di sesso di uno dei coniugi, ove gli stessi abbiano manifestato volontà di mantenere in vita il vincolo di coppia, consegue automaticamente l’instaurazione di un’unione civile tra persone dello stesso sesso. Secondo il ragionamento del giudice rimettente, l’art. 1, comma 26 della legge Cirinnà, è idoneo a generare un’irragionevole discriminazione a danno dei contraenti l’unione civile, che senza la facoltà di convertire automaticamente la propria unione in matrimonio (come, all’opposto, invece, accade con i coniugi, secondo quanto prevede il successivo comma 27), assisterebbero inermi allo scioglimento del loro legame, con obbligo, ove ritenuto, di procedere alla celebrazione di un successivo matrimonio.
Nel periodo di tempo tra lo scioglimento dell’unione civile e la celebrazione di un nuovo matrimonio, la coppia rimarrebbe sostanzialmente priva di una tutela giuridica adeguata, con ciò determinandosi, tra l’altro, una violazione del loro diritto alla continuità affettivo-familiare.
La sentenza della corte Costituzionale
I giudici in realtà hanno fondamentalmente affermato che mancano i requisiti di attualità e concretezza nel caso sollevato dal Tribunale di Lucca, che non avrebbero verificato a fondo se c’erano intanto i requisiti del cambio sesso e se non nascesse solo dalla volontà di contrarre matrimonio e inoltre che comunque esistono tutele per chi convive. Insomma una risposta a metà, nel senso che sembra rispondere solo al caso specifico più che alla ben più ampia vicenda in generale sulla legge Cirinnà.
La Consulta, con sentenza depositata lo scorso 27 dicembre, ha tuttavia dichiarato inammissibili, per difetto di attualità e concretezza, le questioni di legittimità costituzionale poste dal tribunale di Lucca. Scrivono infatti i giudici delle leggi in sentenza: “Le norme in esame, ha rilevato in quella occasione la Corte, partendo dal presupposto incontrovertibile che la nozione di matrimonio sia quella di unione tra due persone di sesso diverso, risolvono il contrasto tra l’interesse statuale a non modificare il modello eterosessuale del matrimonio e quello della coppia attraversata da una vicenda di rettificazione del sesso a non sacrificare integralmente la dimensione giuridica del preesistente rapporto in termini di tutela esclusiva del primo. Dette norme rimangono chiuse ad ogni qualsiasi, pur possibile, forma di bilanciamento con gli interessi della coppia, non più eterosessuale, ma che, in ragione del pregresso vissuto nel contesto di un regolare matrimonio, reclama di essere, comunque, tutelata come forma di comunità, connotata dalla stabile convivenza tra due persone, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione. Il tribunale di Lucca sul preliminare accertamento si è limitato, infatti, ad affermare un’astratta e teorica esistenza del diritto alla rettificazione di sesso, peraltro qualificato in termini di legittima aspettativa, arrestando in tal modo la propria verifica ad un apprezzamento condizionato ad un eventuale riscontro nella documentazione in atti e nell’istruttoria in ipotesi espletabile”.
Il tribunale di Lucca era stato adito dall’attore, il quale aveva premesso di manifestare una disforia di genere, che necessitava di adeguamento dell’identità fisica a quella psichica, chiedendo anzitutto di essere autorizzato all’intervento chirurgico, strumentale alla riassegnazione del sesso da maschile in femminile e, quindi, la rettificazione dei dati anagrafici riguardanti il sesso e il nome, e l’ordine all’ufficiale dello stato civile di procedere alla iscrizione del suo matrimonio con il partner, con il quale aveva contratto in precedenza l’unione civile.
Ovviamente in Italia una persona che ha rettificato il proprio genere anagrafico sarà considerata a tutti gli effetti, anche dalla legge, del genere eletto e dichiarato con sentenza. Dunque, se lo vorrà, potrà sposarsi con una persona del genere anagrafico opposto. Non automaticamente però e per la Consulta quella che prima era una unione civile e che successivamente al cambio di sesso di uno dei due partner decide di sposarsi, nel frattempo è comunque tutelata dalla normativa sulla convivenza.
Ovvio che non basterà una sola sentenza della Consulta su un aspetto specifico delle legge Cirinnà a dirimere ogni possibile controversia, o dibattito, sul tema, né a livello giuridico né a livello sociale. Insomma la vicenda generale resta ancora aperta a differenza del caso specifico. Una sentenza destinata in ogni caso a far discutere e riaprire il dibattito.