Falsifica le firme della moglie sulle cambiali: 75enne condannato

Ha apposto il nome della donna da cui si stava separando su 35 effetti bancari
Per i giudici di Lucca e poi in secondo grado anche per quelli di Firenze avrebbe falsificato la firma della moglie su alcune cambiali, un 75enne di Barga è stato condannato in via definitiva per falsità in titoli di credito.
Stando al resoconto della suprema corte di Cassazione, l’uomo un paio di anni fa, aveva contraffatto la firma della moglie, dalla quale si stava separando, apponendola su ben 35 effetti cambiari dall’importo di 100 euro ciascuno e per un totale quindi di 3500 euro.
In aula tramite i suoi legali l’uomo aveva sostenuto che le cambiali in questione sarebbero state emesse nell’ambito di un finanziamento che sarebbe stato chiesto da entrambi i coniugi concordemente per saldare debiti familiari pregressi e che solo successivamente la persona offesa avrebbe negato tale circostanza perché nel frattempo era maturata un’irreversibile crisi coniugale. Inoltre, sempre a suo dire, avrebbe emesso le cambiali in favore della società che aveva concesso il finanziamento perché si era venuto a trovare in una situazione economica che non gli consentiva di definire la propria posizione debitoria, invocando anche in Cassazione il furto lieve per stato di bisogno.
Per gli ermellini però le cose stanno diversamente e la tesi secondo la quale le firme sarebbero state apposte con il consenso della coniuge costituisce una mera congettura della difesa, che non è stata dedotta neppure dall’imputato, rimasto assente. “Tesi, in ogni caso, priva di qualsiasi appiglio nelle risultanze istruttorie”.
Ma soprattutto sullo stato di bisogno i giudici di Piazza Cavour non ritengono provato nulla e infine un recente precedente di furto in un supermercato non avrebbe consentito ai giudici di applicare le attenuanti richieste. Si legge infatti in sentenza: “Quanto all’invocata scriminante, la corte d’appello di Firenze ha evidenziato l’insussistenza degli elementi dello stato di necessità, ponendo in rilievo anche come la difesa, in realtà, avesse fatto riferimento a un’ipotesi ben diversa da quella in esame, in cui l’imputato aveva agito al solo fine di sfamarsi. Deve essere evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto dal procuratore generale, la corte di appello ha motivato adeguatamente anche con riferimento alla particolare tenuità del fatto, escludendola in considerazione della reiterazione della condotta criminosa, che ne rendeva manifesta la non occasionalità, e ponendo in rilievo come le argomentazioni addotte dalla difesa fossero relative a un reato completamente diverso da quello oggetto di giudizio (un furto all’interno di un supermercato)”. Manifestamente infondata è stata giudicata anche la questione relativa alla sospensione condizionale della pena, atteso che la corte di appello ha rilevato che i precedenti penali dell’imputato erano ostativi al riconoscimento del beneficio. L’uomo è stato condannato anche a 3mila euro di ammenda.