Blitz dei Ros: in manette il superboss Matteo Messina Denaro
L’operazione è stata coordinata dalla Dda di Palermo. In Versilia le ultime sue notizie da uomo libero
È stato arrestato questa mattina (16 gennaio) dai carabinieri del Ros il superboss latitante Matteo Messina Denaro. Era in una clinica privata di Palermo.
Il blitz è stato coordinato dalla Dda di Palermo. Nelle prossime ore verranno resi i dettagli dell’operazione che ha condotto in carcere il capo mafia.
Una cattura, quella del capomafia di Castelvetrano, dopo 30 anni di latitanza, dall’estate del 1993 (quando annunciò con una lettera alla fidanzata dell’epoca, dopo le stragi di Roma, Milano e Firenze, che avrebbe iniziato la sua vita da “primula rossa”), avvenuta nella clinica La Maddalena del capoluogo siciliano dove era ricoverato per sottoporsi a terapie oncologiche per un cancro al colon, scoperto un anno fa. Il boss non ha opposto resistenza all’arresto.-
Ora Matteo Messina Denaro, come spiegato dal comandante dei Ros Pasquale Angelosanto, si trova in un luogo segreto.
Su di lui pende la pena dell’ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito di mafia, strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia, per le stragi del ‘92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma.
La sua è stata una latitanza record come quelle di Riina e Provenzano.
Il super boss Matteo Messina Denaro, dunque, è finito in manette dopo quasi 30 anni di latitanza, 29 anni e 5 mesi per l’esattezza. ‘U siccu nell’agosto del 1993, infatti, era libero e si trovava in Versilia, a Forte dei Marmi, ospite dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, nella villa poi sequestrata e confiscata dalla Dia. In quei giorni il boss che era salito al secondo posto nei posti di comando di cosa nostra, Provenzano era ancora latitante mentre Totò Riina era stato arrestato mesi prima, capisce, anzi sa verosimilmente che sta per essere emessa ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti, e con una lettera alla fidanzata dell’epoca, decide di darsi alla macchia. Inizia così la sua latitanza terminata oggi (16 gennaio), ad opera dei carabinieri del Ros coordinati dalla Dda di Palermo. È stato individuato e arrestato mentre era in day hospital alla clinica Maddalena di Palermo. Il blitz è stato coordinato dal procuratore della Dda di Palermo, Maurizio De Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. Si dovranno tracciare tutti i suoi spostamenti in questi anni per risalire a tutti i suoi complici. I segreti a sua conoscenza sono enormi ma sarà difficile che il boss possa parlare. Ma non si sa mai. Nel 1993 dalla Versilia inizia la sua latitanza, l’ultimo avvistamento da uomo libero. Nel processo sulle stragi del 1993, e precisamente a caccia dei mandanti occulti, riaperto dalla Dda fiorentina nel 2017, e nel processo di secondo grado denominato ’Ndrangheta stragista, in svolgimento a Reggio Calabria, la novità reale, al di là di quello che emergerà e diventerà verità processuale, è rappresentata dalle molte dichiarazioni di alcuni pentiti e di due persone che invece non sono collaboratori di giustizia ma hanno il loro peso, e uno di questi è addirittura Giuseppe Graviano, il super boss di Cosa Nostra.
Giuseppe Graviano parla del suo periodo di latitanza tra il 1984 e il 1994. Ad ogni modo alcuni spunti interessanti che riguardano la Versilia sono venuti fuori e altri probabilmente verranno fuori in seguito. Da segnalare ad esempio la dichiarazione di Giuseppe Graviano appunto: “Se era d’inverno andavo a Courmayeur, viaggiavo e mi muovevo spesso a seconda del periodo, tutti i Carnevale invece me li facevo a Viareggio ma sono stato anche a Venezia, a Riccione e a Forte dei Marmi”. Ma anche Salvatore Baiardo ha parlato con i giudici nominando la Versilia. Ai pm avrebbe raccontato nuovamente delle vacanze organizzate per i boss palermitani tra Forte dei Marmi, Venezia e la Sardegna. I verbali di Baiardo davanti ai pm di Firenze sono appunto secretati. E non sarebbero gli unici. Perché anche Graviano, come detto, è stato sentito dai pm fiorentini della Dda che indagano dal 2017 sui mandanti delle stragi del ’93, ma anche a Reggio Calabria nel processo d’appello alla ‘Ndrangheta stragista (iniziato a ottobre del 2021) ci sono dichiarazioni dei due. Ma non solo. Sulla terribile estate del 1993 Fabio Tranchina, ex autista e favoreggiatore dei boss ha raccontato, invece, numerosi dettagli.
“Nel pieno delle stragi mafiose che insanguinavano il paese, infatti, i Graviano, ricercati dagli investigatori, si divertivano, facevano i turisti di lusso tant’è che a Forte dei Marmi andavano sempre in un negozio che vendeva i vestiti di Versace. Una sera volevano concedersi anche una serata nel locale in cui Mina tenne l’ultimo concerto italiano, La Capannina. Ma qui i due mafiosi latitanti vennero allontanati dal buttafuori con queste parole: vi conviene che andate in un locale più avanti che si spende di meno. Mi ricordo – aggiunge Tranchina – che i Graviano se la presero a ridere perché per loro, questa persona lo disse come se non avessero la possibilità economica di poter pagare l’ingresso. Ma in realtà se la presero molto e non so se in seguito si vendicarono dell’affronto subito. Al momento essendo latitanti non fecero nulla davanti a me e agli altri”.
Una fase, quella corleonese, che oggi è finita per sempre con l’ultimo boss che mancava ancora all’appello. La mafie, le mafie continueranno ad operare, ovviamente, e non bisogna mai abbassare la guardia.

L’arresto di Matteo Messina Denaro in una clinica oncologica è coerente con risultati investigativi, anche molto datati che lo indicavano affetto da serie patologie. Sue tracce del gennaio del 1994, lo collocavano in Spagna, a Barcellona, dove si sarebbe sottoposto ad un intervento chirurgico alla retina. Poi, sempre dalle indagini di alcuni anni fa, avrebbe sofferto di una insufficienza renale cronica, per la quale avrebbe dovuto ricorrere a dialisi e per non rischiare l’arresto avrebbe installato nel suo rifugio le apparecchiature per la dialisi.
La certezza che si trattasse del super boss è arrivata tre giorni fa. Poi, stamattina, il blitz nella clinica, circondata dai militari col volto coperto. Un carabiniere si è avvicinato al padrino e gli ha chiesto come si chiamasse. “Mi chiamo Matteo Messina Denaro”, ha risposto.
“Matteo Messina Denaro è stato catturato grazie al metodo Dalla Chiesa, cioè la raccolta di tantissimi dati informativi dei tanti reparti dei carabinieri, sulla strada, attraverso intercettazioni telefoniche, banche dati dello Stato, delle regioni amministrative per portare all’arresto di questa mattina – ha spiegato in conferenza stampa il comandante dei carabinieri Teo Luzi, arrivato a Palermo -. Una grande soddisfazione perché è un risultato straordinario. Messina Denaro era un personaggio di primissimo piano operativo, ma anche da un punto di vista simbolico perché è stato uno dei grandi protagonisti dell’attacco allo Stato con le stragi. Risultato reso possibile dalla determinazione e dal metodo utilizzato. Determinazione perché per 30 anni abbiamo voluto arrivare alla sua cattura soprattutto in questi ultimi anni con un grandissimo impiego di personale e di ricorse strumentali. Un risultato grazie al lavoro fatto anche dalle altre forze di polizia particolare dalla polizia di Stato. La lotta a cosa nostra prosegue. Il cerchio non si chiude. È un risultato che dà coraggio che ci dà nuovi stimoli ad andare avanti e ci dà metodo di lavoro per il futuro, la lotta alla criminalità organizzata è uno dei temi fondamentali di tutti gli stati”.
“E’ il risultato di un lavoro corale che si è svolto nel tempo, che si è basato sul sacrificio dei carabinieri in tanti anni. L’ultimo periodo, quelle delle feste natalizie, i nostri lo hanno trascorso negli uffici a lavorare e a mettere insieme gli elementi che ogni giorno si arricchivano sempre di più e venivano comunicati. La Procura era aperta anche all’antivigilia, è stato uno sforzo corale – ha aggiunto Pasquale Angelosanto, comandante del Ros -, abbiamo avuto la certezza che fosse all’interno della struttura sanitaria. Quando è stato bloccato si è subito dichiarato, senza neanche fingere di essere la persona di cui aveva utilizzato l’identità”
“Abbiamo catturato l’ultimo stragista responsabile delle stragi del 1992-93 – le parole del procuratore di Palermo Maurizio De Lucia -. Siamo particolarmente orgogliosi del lavoro portato a termine questa mattina che conclude un lavoro lungo e delicatissimo. E’ un debito che la Repubblica aveva con le vittime della mafia che in parte abbiamo saldato. Catturare un latitante pericoloso senza ricorso alla violenza e senza manette è un segno importante per un paese democratico”.
“Le condizioni di salute – è poi stato spiegato, dal procuratore aggiunto Paolo Guido – sono incompatibili con il carcere. Ovviamente sarà curato come ogni cittadino ha diritto essere curato”.
“Oggi è un bel giorno per la Repubblica e il primo pensiero non può che andare alle vittime della strage dei Georgofili e alle loro famiglie. L’arresto di Messina Denaro è un grande risultato per lo Stato e per i suoi servitori, magistrati e forze dell’ordine, ed un motivo di orgoglio per tutta la comunità nazionale. ”. Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, commenta con grande soddisfazione la fine della lunga latitanza del boss mafioso.
Plauso all’azione della procura di Palermo e ai carabinieri anche da parte dell’assessore a legalità e sicurezza, Stefano Ciuoffo: “È una grande notizia – sottolinea – che potrà dare nuovo slancio all’impegno delle istituzioni e della società tutta contro la criminalità organizzata. La Toscana, ferita dallo stragismo mafioso e insidiata dai tentativi di infiltrazione, farà fino in fondo la sua parte”.
La capogruppo del Movimento 5 Stelle in Regione Toscana Irene Galletti, plaude al lavoro delle forze dell’ordine per la cattura del super boss: “Finalmente Matteo Messina Denaro, il super boss mafioso latitante da 30 anni, è stato arrestato. La Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta da Roberta Serio, lo ha condannato all’ergastolo per le stragi del 1992 di Capaci e Via D’Amelio, che hanno causato la morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e degli agenti delle loro scorte. Messina Denaro, pupillo di Totò Riina, noto anche come Diabolik, era stato condannato anche per gli eccidi del 1993 a Roma, Firenze e Milano, nonché per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di Santino, collaboratore di giustizia ed ex mafioso. Finalmente è stato fatto un passo in più per rendere giustizia alle famiglie delle vittime delle scellerate azioni di questo “uomo del disonore”. Rivolgo un pensiero riconoscente e nostalgico a Falcone e Borsellino e a tutti quei servitori dello Stato che hanno dato la propria vita nella lotta alla mafia. E un sincero grazie alle forze dell’Ordine che hanno consegnato alla giustizia l’ultimo boss stragista di Cosa Nostra”.