Nota dietista ottiene il ruolo per insegnare a scuola ma viene ‘licenziata’: “Fa un doppio lavoro”

28 gennaio 2023 | 11:59
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Nota dietista ottiene il ruolo per insegnare a scuola ma viene ‘licenziata’: “Fa un doppio lavoro”

La professionista ha impugnato il provvedimento ma ha perso la causa. Il giudice però bacchetta il Miur: “Comportamento ambiguo”

Doppio lavoro senza autorizzazione, risolto il contratto di docenza tra il Miur a una nota dottoressa di Lucca. La dietista lucchese aveva vinto il concorso per poter insegnare ed era stata assunta a tempo indeterminato, nel 2018, in un istituto scolastico della provincia ma ha anche proseguito la sua attività lavorativa privata e ha finito col perdere il posto di insegnante.

L’andamento di questa singolare vicenda sfociata in un procedimento giudiziario è stato anch’esso particolare e ha vissuto diverse fasi ricostruite in aula fino alla sentenza dei giorni scorsi del Tribunale cittadino che ha confermato la legittimità della risoluzione del contratto a tempo indeterminato del maggio del 2021. Il documento firmato all’epoca dell’assunzione di esistenza di cause di incompatibilità ma di scelta del lavoro di docente, in aula ha fatto la differenza rispetto alle altre cose che pure erano emerse e che sono state ampiamente sottolineate dal giudice Antonella De Luca che ha emesso la sentenza dove si dà ragione al Miur e torto alla dietista lucchese che è stata condannata anche a circa 6mila euro di spese di lite. La donna infatti non ha mai negato di svolgere una doppia attività anzi nel suo ricorso sottolinea di essere molto nota e conosciuta e che tutti erano a conoscenza del suo lavoro di dietista. In effetti è presente sul web e sui principali canali social più diffusi. Ma per i giudici non è bastato, anzi, confermando la risoluzione del contratto col Miur ha “bacchettato” duramente il comportamento del Miur ritenuto “ambiguo”.

I fatti emersi nel processo

Durante il procedimento giudiziario nel quale la donna ha impugnato davanti ai giudici cittadini il provvedimento di risoluzione del contratto di docenza, evidenziava di aver svolto, senza soluzione di continuità, sin dall’anno 2006, l’attività di libera professione ambulatoriale di dietista in regime autonomo, e che a partire dal settembre 2018, dopo aver vinto il concorso pubblico per la scuola secondaria, era stata immessa nel ruolo ed iniziava a prestare servizio presso un istituto della provincia. Rappresentava inoltre che successivamente alla segnalazione del dirigente scolastico, del 4 marzo del 2021 l’Usr Toscana avviava una procedura disciplinare nei suoi confronti con audizione del 9 aprile. In particolare la segnalazione del dirigente scolastico aveva ad oggetto il contemporaneo svolgimento da parte della donna della professione di dietista. Il 15 aprile del 2021 la donna inoltrava al dirigente richiesta di autorizzazione all’esercizio della libera professione a cui seguiva, in data 17 aprile stesso anno, una diffida nei suoi confronti a sciogliere la situazione di incompatibilità con la permanenza nel ruolo, cessando entro 15 giorni tutte le attività professionali in essere e la relativa patita iva.

Si continua a leggere in sentenza: “La ricorrente considerando tale diffida come un rifiuto di autorizzazione impugnava il provvedimento dinanzi all’Usr Toscana a cui seguiva, in data 3 maggio, comunicazione della dirigente scolastica in cui si precisava che la comunicazione del 17. aprile non era da considerarsi un rifiuto ma era una mera diffida a far cessare l’incompatibilità propedeutica alla successiva autorizzazione”. La donna a quel punto inviava poi il 14 maggio sempre del 2021 una istanza di annullamento in autotutela rappresentando ad ogni modo di aver cessato tutte le attività connesse all’esercizio della libera professione, contestando tuttavia di dover cessare la partita iva. Seguiva, quindi, infine, il 31 maggio del 2021 provvedimento di decadenza dal ruolo di docente con conseguente risoluzione del contratto a tempo indeterminato.

La sentenza

Per il tribunale di Lucca nonostante il comportamento anomalo del Miur che di fatto aveva proposto alla donna di far cessare tutti i motivi di incompatibilità per poi richiedere l’autorizzazione a esercitare la professione di dietista oltre all’insegnamento (che a sua volta poteva essere concessa o meno) ha ritenuto dirimente su tutto quella dichiarazione iniziale in sede di contratto con la scuola da parte della donna, confermando la risoluzione del contratto ma non senza aver prima stigmatizzato con parole dure e chiare il comportamento del Miur. Si legge infatti nella salomonica sentenza del giudice: “Il ricorso è infondato e va rigettato. Ebbene nel caso di specie la ricorrente, diversamente da quanto rilevato nelle note conclusive, non aveva dichiarato solamente la situazione di incompatibilità, ma aveva espressamente optato per il nuovo lavoro in sede di presa di possesso, continuando tuttavia a svolgere la propria attività privatistica di dietista pur consapevole dell’incompatibilità astratta di tale attività e della necessità di richiedere eventuale autorizzazione, determinandosi ad avanzare tale richieste solo all’esito dell’avviato procedimento disciplinare, pur nella piena consapevolezza di aver reso una dichiarazione difforme in sede di instaurazione del rapporto di lavoro”. Tuttavia la questione per i giudici non può ritenersi circoscritta a tale ambiguo modus operandi del, ministero ma va letta alla luce della vicenda generale considerando che la ricorrente al momento della presa di servizio  effettuava sostanzialmente una dichiarazione non veritiera laddove dichiarava espressamente di “trovarsi in una delle suddette situazioni di incompatibilità e di optare per il nuovo rapporto di lavoro”.

Si legge infine: “Ebbene è vero che la condotta del Ministero per certi versi non è pienamente lineare laddove a fronte della sia pur sopravvenuta richiesta di autorizzazione a svolgere l’attività privata di dietista in luogo di un provvedimento, positivo o negativo, invita la ricorrente intanto a rimuovere la situazione di incompatibilità per poi provvedere sulla suddetta istanza. Questa condotta sicuramente letta singolarmente non è pienamente conforme a correttezza e buona fede, non avrebbe senso sollecitare la rimozione dell’incompatibilità per poi pronunciarsi favorevolmente in ordine alla compatibilità dell’attività svolta. Pertanto, pur a fronte di tale condotta da parte dell’amministrazione senz’altro non connotata da correttezza e buona fede, la situazione di incompatibilità risulta effettiva sin dall’inizio dell’instaurazione del rapporto di lavoro non avendo la ricorrente tempestivamente avanzato richiesta di autorizzazione”. Queste le decisioni del giudice di primo grado sul caso.