Si intasca i soldi dei clienti, il tribunale conferma il licenziamento del direttore commerciale

4 marzo 2023 | 15:51
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Si intasca i soldi dei clienti, il tribunale conferma il licenziamento del direttore commerciale

Il professionista aveva impugnato il provvedimento sostenendo che si trattava dei rimborsi per le trasferte

Trattiene per sé ben 21 pagamenti dei clienti per i sopralluoghi effettuati in 3 mesi e non li consegna alla ditta per cui lavorava, e di cui era il direttore commerciale, che lo ha licenziato per giusta causa. Ma l’uomo è convinto di aver agito correttamente e impugna il provvedimento davanti al giudice del tribunale di Lucca che però dopo aver esaminato a fondo tutti i documenti e le testimonianza conferma il licenziamento e lo condanna anche a 5mila euro di spese legali.

L’incredibile e rocambolesca vicenda terminata con la sentenza del 2 marzo scorso a firma del giudice Alfonsina Manfredini riguarda l’ex dipendente di una ditta di disinfestazione della provincia di Lucca che nel settembre dello scorso anno dopo un avviso da parte della società si è visto recapitare il licenziamento tramite raccomandata e con effetto immediato per giusta causa. Oggetto del contenzioso le somme che l’uomo ha trattenuto per sé, ritenendole dovute come indennità di trasferta. Ma durante il processo è emerso il contrario e il Tribunale ha quindi ratificato e dichiarato legittimo il provvedimento della ditta lucchese.

L’ex direttore commerciale considerava suoi quei soldi dei clienti versati per i sopralluoghi fatti in diversi comuni della Toscana ma i documenti agli atti del processo dicono altro. In aula si forma la cosiddetta verità giudiziaria che non sempre coincide con quello che realmente è accaduto ma è decisiva per le decisioni del giudice. Resta infatti non chiarito il perché l’uomo abbia trattenuto le somme di denaro e poi impugnato davanti al giudice il licenziamento ben sapendo che sarebbe emerso tutto o quasi. Se infatti esisteva, e non è emerso nel processo, un accordo non scritto su quelle somme, non è stata fornita nessuna prova in tal senso e l’onere di provare quel che si dice spetta a chi fa causa nel processo civile. Ma tant’è.

Si legge infatti in sentenza: “Il ricorrente, sia nel ricorso che nella nota autorizzata, non ha negato di aver trattenuto le somme a lui contestate, anzi, ha sottolineato che le somme in questione erano state da lui trattenute per far fronte alle spese di trasferta e che l’azienda era informata di ciò, senza tuttavia provare quest’ultima circostanza. Viceversa, la parte convenuta ha prodotto in giudizio le buste paga del ricorrente all’interno delle quali è riportata una specifica voce della retribuzione denominata trasferte Italia, ragion per cui è da escludere che l’ex direttore commerciale abbia trattenuto il denaro per questa motivazione. Inoltre quand’anche il ricorrente avesse sostenuto spese aggiuntive in occasione delle trasferte avrebbe dovuto documentarle alla società e in ogni caso dedurre in questa sede di quali spese si fosse trattato e perché le stesse non fossero ricomprese nell’importo riconosciuto in busta paga”.

In relazione alle spese di trasferta giova richiamare la pronuncia della corte Suprema di Cassazione che, in merito ad altra fattispecie relativa a rimborsi anomali, ha statuito che è legittimo il licenziamento intimato al dipendente che domanda rimborsi anomali per le trasferte, a nulla valendo che egli lamenti la inconsapevolezza circa la rilevanza. Prosegue infatti la sentenza: “La condotta tenuta dall’ex direttore commerciale consistente nell’aver trattenuto le somme riscosse in merito a perizie e sopralluoghi effettuati per conto della società è certamente tale da far venir meno il rapporto di fiducia tra società e il proprio dipendente. La sanzione del licenziamento disciplinare appare pertanto proporzionata rispetto al fatto pacificamente posto in essere dal lavoratore”. Quello che non viene messo nero su bianco è difficile se non impossibile da dimostrare, verba volant. Questa ad ogni modo la decisione del primo grado di giudizio.