Sospese per sei mesi dal lavoro perché non si vaccinano contro il Covid, respinto il ricorso di due insegnanti: “Niente arretrati”

Per il tribunale di Lucca l’obbligo di sottoporsi a profilassi era necessario
Due insegnanti di un istituto scolastico di Lucca lo scorso anno sono state sospese per sei mesi, da gennaio a giugno, per inottemperanza all’obbligo vaccinale e hanno chiesto al Miur di essere ricollocate oltre a tutti gli stipendi arretrati e non corrisposti durante tale sospensione ma il Tribunale cittadino ha dato loro torto rigettando l’istanza. Con la sentenza pubblicata ieri (30 marzo) il giudice Alfonsina Manfredini ha ribadito le motivazioni della infondatezza del ricorso delle due docenti lucchesi.
Le ricorrenti lamentavano l’illegittimità dei provvedimenti di sospensione per irragionevolezza dell’obbligo vaccinale a seguito dell’emanazione del decreto legge 5/2022, con il quale viene consentito, ad esempio, a soggetti provenienti da uno Stato estero di accedere, mediante semplice tampone, a tutti i servizi e le attività per le quali in Italia serve il certificato verde rafforzato mediante semplice tampone. Da qui l’irragionevolezza, a loro dire, della normativa che impone l’obbligo vaccinale, normativa che si porrebbe in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione poiché non consente l’accesso al lavoro previo tampone ai soggetti non vaccinati.
Secca e precisa la risposta del giudice: “La scelta di imporre specifici obblighi vaccinali per la prevenzione dell’infezione da Sars covid-2 assunta dal legislatore al fine di prevenire la diffusione del virus, limitandone la circolazione, non può ritenersi irragionevole, né sproporzionata, alla luce della situazione epidemiologica e delle risultanze scientifiche disponibili (anche sulla sicurezza dei vaccini, per come forniti dalle autorità scientifico-sanitarie, nazionali e sovranazionali), posto che l’articolo 32 della Costituzione affida al legislatore il compito di bilanciare, alla luce del principio di solidarietà, il diritto dell’individuo all’autodeterminazione rispetto alla propria salute con il coesistente diritto alla salute degli altri e, quindi, con l’interesse della collettività”.
In pratica la mancata osservanza dell’obbligo vaccinale ha determinato la temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere mansioni implicanti contatti interpersonali -nel caso con classi di minori (a cui consegue il legittimo affidamento da parte delle famiglie)- e in ambienti ad alto rischio di contagio (quali sono le comunità scolastiche) o che comportassero, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio, sicché è stata ritenuta non contraria ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza anche l’iniziale scelta legislativa di non prevedere un obbligo del datore di lavoro di assegnazione a mansioni diverse. Non è peraltro preclusa al lavoratore la possibilità di svolgere nel periodo di sospensione altra attività lavorativa per la quale non fosse previsto l’obbligo vaccinale. Da qui il finale perentorio della sentenza: “Alla luce del contenuto delle pronunce della Corte, risultano, quindi, superati tutti i profili di illegittimità sollevati dai ricorrenti. Ne consegue che, esclusa la dedotta mora credendi del datore di lavoro, la pacifica assenza di prestazione lavorativa per quel datore di lavoro vale a giustificare la mancata retribuzione. Spese compensate”. Dal 16 giugno 2022 la situazione è poi cambiata e dal primo settembre i docenti e il personale ata non era più obbligato alla vaccinazione a seguito della fine della fase emergenziale a seguito di precise indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità.