Gli violentano la figlia di 13 anni: operaio licenziato in tronco perché manda in ritardo il certificato medico alla ditta

1 aprile 2023 | 07:00
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Gli violentano la figlia di 13 anni: operaio licenziato in tronco perché manda in ritardo il certificato medico alla ditta

Il lavoratore doveva rinnovare il periodo di malattia ma ha spedito in ritardo il documento perché preso ad assistere la minorenne che dopo lo stupro era stata anche ricoverata in ospedale: il tribunale ha giudicato legittimo il provvedimento dell’azienda

La legge a volte sa essere davvero inflessibile e tutto quello che finora poteva andare storto è andato storto. Una gran brutta vicenda e che purtroppo al momento manca del lieto fine, quella legata a un licenziamento di un operaio lucchese nell’ottobre del 2020 e a un terribile episodio di violenza sessuale aggravata sulla figlia, all’epoca appena 13enne. L’uomo tramite uno dei legali del sindacato (Cgil) ha impugnato il provvedimento della ditta che opera in campo edile ma in primo grado il giudice del tribunale di Lucca gli ha dato torto confermando la legittimità del licenziamento. E si sta valutando proprio in queste ore di proporre appello alla sentenza di primo grado. In punta di diritto l’uomo ha inviato il secondo certificato medico di rinnovo del periodo di malattia all’azienda lucchese per la quale lavorava con 3 giorni di ritardo, rispetto a quanto previsto dal contratto collettivo nazionale, ma in quei terrificanti giorni era successo quello che non dovrebbe mai succedere: la figlia 13enne aveva subito abusi sessuali.

Il 30 settembre del 2020, cioè il giorno prima della scadenza del primo certificato medico. Forze dell’ordine e magistratura avevano individuato il presunto responsabile accusato di violenza sessuale aggravata su minori e hanno deciso di ascoltare la giovane vittima in sede di incidente probatorio proprio per cristallizzare le prove e le testimonianze. Inoltre nei giorni successivi la ragazzina si era sentita male tanto da dove ricorrere alle cure dei sanitari dell’ospedale per un breve ricovero. Quale genitore normale al mondo in quei giorni assurdi non avrebbe pensato solo ed esclusivamente alla figlia dimenticando ovviamente di inviare certificati medici all’azienda? E comunque il 7 ottobre dopo aver mandato alcuni messaggi ai suoi superiori ha fatto pervenire il certificato medico di rinnovo del periodo di malattia fino al 2 novembre, nonostante e malgrado uno stato d’animo veramente difficile da non comprendere umanamente. Eppure niente da fare. La ditta lo ha licenziato e l’uomo ha perso anche la causa civile dove chiedeva di essere reintegrato. L’uomo era stato operato a una spalla e si stava curando e fino al 1 ottobre del 2020 era coperto dal primo certificato inviato.

Il secondo lo ha inviato come detto il 7 ottobre, e non entro il 4 ottobre come previsto dal contratto collettivo nazionale, e nonostante le spiegazioni la ditta ha provveduto ugualmente a licenziarlo per assenza non giustificata. Vero è che il contratto prevede l’invio del nuovo certificato medico entro 3 giorni dalla scadenza del precedente ma francamente non tenere conto di quello che è accaduto, agli atti del processo, in quei giorni assurdi, sarà anche legalmente corretto ma umanamente inconcepibile. Si legge nella sentenza del Tribunale di Lucca pubblicata lo scorso 29 marzo: “Ancora l’uomo riferisce che in data 7 ottobre 2020, ha scritto un messaggio whatsapp alla sua responsabile per scusarsi di non avere inoltrato tempestivamente il certificato di continuazione della malattia, e del quale peraltro provvedeva contestualmente a trascrivere il relativo numero, giustificando il proprio impedimento con i seri problemi familiari che aveva avuto in quei giorni, ovvero che per la data del 30 settembre 2020 la figlia minorenne era stata convocata dall’ufficio gip del tribunale di Lucca per essere esaminata in sede di incidente probatorio quale persona offesa nell’ipotesi di reato ex articolo 609 bis e 609 (violenza sessuale aggravata su minori) ed in condizioni di particolare vulnerabilità che il 4 ottobre aveva ricevuto dai suoi parenti la notizia dell’aggravamento delle condizioni della nonna e il giorno successivo, la figlia, a causa di forti dolori all’addome, si era recata di urgenza al pronto soccorso per visite, accertamenti e un breve ricovero”. Ma niente, la sentenza gli è stata sfavorevole: “La lettera di contestazione veniva comunicata all’uomo in data 20 ottobre 2020 lo stesso forniva le proprie giustificazioni oltre il termine di 5 giorni ivi previsto, consegnando lettera scritta in data 28.10.20; la società ritenendo non giustificato il comportamento tenuto dal lavoratore procedeva al licenziamento dello stesso”.

Incredibile ma vero. Il ritardo c’è stato, ma è un fatto così grave, visti gli accadimenti, da far venir meno il rapporto fiduciario? Davvero la ditta non può mettersi nei panni di quest’uomo? Queste le domande che si pone l’avvocato della Cgil, Gianluca Esposito, che ora valuterà insieme al cliente se proporre o meno appello, dipende soprattutto dalla volontà dell’uomo. Termina la sentenza: “Il licenziamento deve pertanto considerarsi pienamente legittimo. Il ricorso va rigettato, le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo nei valori minimi avendo riguardo alla bassa complessità delle questioni e all’assenza di istruttoria”. L’uomo dovrà pagare anche 2695 euro di spese di lite. Non poteva andare peggio. La parola ora si spera passi alla corte d’Appello di Firenze. Si vedrà.