Pfas, dati choc dall’Ars: “Residui nel 96 per cento dei campioni di acque monitorati”
Le soglie di concentrazione accettabili stanno per cambiare e per ridursi e gli sforamenti sono destinati ad aumentare. Si muove anche Confindustria
Pfas, un primo passo verso maggior chiarezza e tutela della salute dei cittadini, ma le ombre sono ancora tante e la strada decisamente in salita. Giova ricordare che per la commissione parlamentare sulle ecomafie nella relazione finale sui Pfas dello scorso autunno stabilisce che Veneto, Toscana, Liguria e Lombardia sono tra le regioni italiane più a rischio. In Toscana i settori dell’industria tessile, conciaria e cartaria sono tra i comparti che hanno utilizzato o utilizzano ancora i Pfas.
Si tratta in realtà di 4700 sostanze chimiche che rientrano nella famiglia dei Pfas con varie denominazione che cominciano tutte con acido perfluor… o polifluor… a seconda della composizione chimica. Sono sostanze pericolosissime per l’ambiente e per la salute perché hanno una capacità di bio accumulo per cui gli organismi viventi e la natura non riescono a smaltirle e metabolizzarle se non in decine di anni e a seconda dell’esposizione.
La novità è rappresentata dal decreto legislativo 18 del 23 febbraio scorso sulle acque destinate al consumo umano. Entro il prossimo 19 giugno si insedierà il Censia (centro nazionale per la sicurezza delle acque) che recepisce e rende disponibili sul territorio le linee guida tecniche sui metodi analitici per quanto riguarda il monitoraggio delle sostanze per e poli fluoroalchiliche comprese nei parametri cosiddetti Pfas – totale e somma di Pfas, compresi i limiti di rilevazione, i valori di parametro e la frequenza di campionamento, che la Commissione europea prevede poi di stabilire entro il 12 gennaio 2024. Nel frattempo un disegno di legge più generale sui Pfas è in discussione in parlamento e dovrà divenire effettivo entro il 31 dicembre come su indicazioni dell’Unione Europea. Entro il 21 marzo 2024 nascerà infine in Italia l’anagrafe territoriale dinamica delle acque potabili (Antea). Questo il punto della situazione su ciò che sta per succedere a livello normativo in Europa, in Italia e in tutti i paesi membri sui Pfas, o molecole eterne.
L’Unione Europea sta per fissare nuovi parametri e nuove soglie per le concentrazioni di Pfas nell’acqua, nel cibo, nell’aria, nella terra e nel sangue degli esseri umani e viventi (animali compresi). Si sta andando praticamente verso un forte giro di vite sull’utilizzo di queste sostanze verso soglia zero e la sostituzione con altre sostanze da parte dell’industria dopo gli scandali e le tragedia in Usa (Dupont spa) e in Veneto (Miteni spa) con la contaminazione di falde e di migliaia di cittadini e siccome i Pfas provocano tumori e malformazioni genetiche si comprendono bene la serietà e l’urgenza dell’argomento.
La frase choc di Ars Toscana, destinata a far discutere e riflettere. Nella regione Toscana l’Arpat da anni sta lanciando l’allarme sui Pfas con studi, analisi e dati pubblicati sul suo sito ufficiale ma la frase più scioccante di tutte negli ultimi anni l’ha pubblicata l’Ars Toscana (agenzia regionale di sanità) in un dossier dal titolo Welfare e salute in Toscana 2021. Si legge infatti nel dossier: “Relativamente alla qualità delle acque destinate alla potabilizzazione, i monitoraggi del triennio 2017 – 2019 confermano i dati negativi degli anni precedenti. Dal 2004 nessun corpo idrico ha raggiunto la classificazione A1 (qualità buona), nel periodo 2017-2019 il 15 per cento dei punti sono classificati A2, il 53 per cento A3 e il 32 per cento subA3, ovvero categorie che richiedono interventi progressivamente più consistenti per la potabilizzazione”.
“Nel 2019 – prosegue Ars Toscana – il 73 per cento dei corpi idrici superficiali monitorati per i fitofarmaci ha registrato la presenza di fitofarmaci in concentrazione misurabile, e il 14 per cento è risultato compromesso per superamenti degli standard di qualità ambientale. Il 96 per cento dei campioni monitorati presenta residui di sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) e nel 16 per cento si sono osservati superamenti degli standard di qualità ambientale”.
Ma poi ogni riferimento ai Pfas nel dossier 2022 pubblicato lo scorso inverno è scomparso. Al dossier di Ars Toscana non partecipa Arpat ma sarebbe bastato chiedere perché di Pfas l’agenzia regionale per la protezione ambientale ne ha continuato a trovare tracce un po’ ovunque in regione, dagli scarichi ai fiumi, dai depuratori al mare e ai pesci, come pubblicato in vari report e soprattutto nei dossier annuali sullo stato dell’ambiente. Il fatto è che come per molti altri settori le competenze sull’acqua che beviamo sono suddivise a seconda dell’ambito tra vari enti, perché oltre ad Ars e Arpat che possono effettuare alcuni controlli poi spetta alle Asl dire la sua sulla potabilità all’uscita dal rubinetto, ad esempio, poi ci sono i gestori degli acquedotti, e via via fino alle autorità giudiziarie e forze di polizia per eventuali reati o illeciti. Ma fondamentalmente la maggior parte degli ambiti d’azione ricade sotto la responsabilità della Regione Toscana che al momento tace sull’argomento Pfas nonostante la banca dati regionale Pot sul monitoraggio ambientale delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile, registri centinaia di ritrovamenti di Pfas in varie zone della Toscana, accessibile a tutti sul sito web di Arpat e Regione. Il problema è che le soglie di concentrazione possibili legalmente stanno per cambiare e per ridursi e quindi gli sforamenti sono destinati ad aumentare. La Regione prima o poi dovrà parlare sull’argomento.
Chi parla invece e anche in maniera dettagliata e schietta di Pfas è Confindustria nazionale che è stata ascoltata in parlamento prima della promulgazione del decreto legislativo sulle acque potabili del febbraio scorso e sarà certamente risentita prima della legge sui Pfas che come detto dovrà vedere la luce entro fine anno.
Confindustria con un intervento molto schietto e pratico assumendosi le responsabilità per l’uso dei Pfas ha proposto al Parlamento una serie di interventi da realizzare insieme prima che l’Unione Europea e quindi la nuova e futura legge italiana, fissi i nuovi parametri sull’utilizzo di queste sostanze chimiche che sono molto utili alle industrie. Si legge infatti nella relazione al Parlamento: “Le azioni da realizzare, in attesa (o in parallelo) dell’evolversi della normativa europea, dovrebbero essere: potenziare, con il coinvolgimento del sistema universitario ed industriale, la ricerca scientifica su tutti gli aspetti del fenomeno (diffusione di utilizzo, effetti sulla salute, sostanze alternative, etc.); promuovere, stanziando risorse adeguate, la ricerca di molecole in grado di sostituire i Pfas; incentivare, stanziando risorse adeguate, la sperimentazione delle tecnologie che consentiranno di abbattere efficacemente e a costi sostenibili i Pfas; promuovere, sulla base dei risultati delle sperimentazioni, l’approvazione delle Bat (migliori tecnologie disponibili) per l’abbattimento dei Pfas e dei limiti di scarico; introdurre limiti allo scarico dei Pfas esclusivamente a seguito dell’individuazione, nell’ambito della sperimentazione, delle tecnologie e delle metodologie adottabili ed approvate a livello europeo dalle opportune Bat”.
Un ragionamento molto sincero e concreto che parte dalla reale difficoltà delle industrie di usare i metodi di osmosi inversa e carboni attivi per bonificare i Pfas che hanno costi troppo elevati e che produrrebbero anche quantità ingenti di Co2 e di volontà a migrare verso sostanze diverse ma con tempi e modi fissati insieme dopo aver trovato sempre insieme le nuove sostanze da usare per abbattere completamente l’utilizzo di Pfas e farli scomparire dalla produzione industriale, in Italia e in Europa, vero e unico traguardo per tutti. Senza se e senza ma. Non si può scherzare con i Pfas se la storia ci ha insegnato qualcosa.
Navigando nel sito web ufficiale di Arpat e digitando Pfas come parola chiave nel motore di ricerca, tra i tanti risultati a disposizione ce n’è uno davvero singolare ma decisamente emblematico e suggestivo che spiega il contesto generale della situazione. Un link infatti porta ad una pagina interna di Arpat che recensisce un film: Cattive acque. E non deve affatto sembrare strano anche se decisamente particolare come evenienza perché questo non è un film qualunque e non è segnalato da Arpat per consigliare all’utente come trascorrere una serata a casa. Si tratta del resoconto cinematografico della storia che ha portato all’attenzione del mondo intero dell’esistenze dei Pfas che hanno contaminato mezzo pianeta ormai. La Dupont spa fu costretta a pagare uno dei risarcimenti più onerosi della storia, circa 700 milioni di dollari. Si legge nel sito di Arpat: “Cattive acque è un film capace di aggiungere un’ulteriore chiave di lettura nel tentativo di farci comprendere il nostro mondo complicato, sottolineando le sue interconnessioni, ed offrendoci, allo stesso tempo uno sguardo disincantato sull’ipocrisia e sulla crudeltà dispiegate dall’avidità umana”. Più chiaro di così..