Ciclista morto a soli 21 anni, niente risarcimento per il medico sportivo sospeso dal Coni

Il professionista, coinvolto nelle indagini per il decesso per presunto doping di Linas Rumsas, aveva chiesto i danni per i pregiudizi della decisione sulla sua attività
Morire di doping a soli 21 anni, questa l’ipotesi accusatoria degli inquirenti lucchesi nei confronti delle persone indagate per avere, a vario titolo, responsabilità nel decesso del giovane ciclista di Lucca Linas Rumsas, all’interno di una maxi inchiesta sul mondo delle sostanze proibite nel ciclismo.
Ora alla giustizia penale che sta facendo il suo corso si aggiunge anche la sentenza definitiva del Consiglio di Stato su uno dei medici sportivi coinvolti nella vicenda che era stato sospeso, come molti altri indagati, tra dirigenti della società dilettantistica, direttori sportivi e ciclisti. L’indagine penale aveva preso le mosse dalla morte di Linas Rumsas, 21enne promessa del ciclismo deceduto improvvisamente, il 2 maggio del 2017. Le indagini condotte dalla polizia di Lucca avevano fatto luce su un giro di farmaci, come epo in microdosi, ormoni per la crescita e antidolorifici a base oppiacea. Gli atleti, alcuni giovanissimi, secondo l’inchiesta condotta dal sostituto procuratore Salvatore Giannino, venivano incoraggiati a fare uso di sostanze dopanti. Nel febbraio del 2018 il blitz che aveva portato a numerosi arresti nei confronti della dirigenza di una delle maggiori squadre del ciclismo dilettantistico italiano. Tra gli arrestati, oltre al proprietario del team e all’ex direttore sportivo, anche un farmacista, che riforniva la squadra di farmaci vietati dalla normativa sul doping in assenza di prescrizione medica.
Gli atleti, alcuni giovanissimi, venivano incoraggiati, secondo l’accusa, dal presidente della squadra a fare uso di sostanze dopanti. Era stato perquisito anche lo studio legale di un avvocato del foro lucchese. Gli ottimi piazzamenti in gara del ciclista nel periodo precedente la morte, avvenuta il 2 maggio 2017, hanno subito fatto apparire fondato il sospetto che l’improvviso decesso fosse da ricondurre all’uso o abuso di farmaci non autorizzati. Anche così la polizia aveva ricostruito la vicenda di doping per cui erano scattati arresti e perquisizioni a Lucca. La polizia aveva spiegato che, poiché il ragazzo, nelle settimane precedenti la morte, aveva sostenuto delle gare particolarmente dure conseguendo ottimi piazzamenti, di gran lunga superiori a quelli ottenuti in passato, potesse aver perso la vita proprio per eventuale uso e abuso di sostanze dopanti. La giustizia sta facendo il suo corso e il procedimento penale prosegue per far luce sull’intera vicenda e sulla morte del giovane ciclista e per assegnare a ognuno le eventuali responsabilità.
La sentenza
Ma parallelamente all’inchiesta penale le sospensioni di medici, dirigenti e ciclisti da parte del Coni su richiesta della procura nazionale antidoping erano andate avanti e oggi (31 maggio) il Consiglio di Stato ha definitivamente respinto la richiesta di uno dei medici sportivi sospesi di risarcimento danni (180mila euro) perché a suo dire “ne era derivato sotto il profilo causale un pregiudizio alla propria attività professionale, in quanto le strutture sanitarie avevano deciso di interrompere qualsiasi rapporto, con rilevanti danni di natura patrimoniale e non patrimoniale”. Ma anche per i giudici di Palazzo Spada come per colleghi del Tar del Lazio tale richiesta non è fondata. Si legge infatti molto chiaramente nella sentenza del Consiglio di Stato: “In ragione dei rilievi espressi, la domanda di risarcimento va respinta stante la natura extracontrattuale dell’illecito denunciato sicché, in difetto dell’antigiuridicità della condotta, nessun danno può essere risarcito. Secondo i principi generali che regolamentano la responsabilità civile, la condotta che si assume lesiva di un interesse giuridicamente tutelato non è suscettibile di cagionare un danno ingiusto, se essa costituisce esercizio di una facoltà o di un potere attribuito al soggetto dall’ordinamento. In definitiva, l’appello deve essere rigettato, e la sentenza impugnata va confermata”. Chiusa la questione amministrativa ora si attendono gli esiti della vicenda penale.