Truffatrice e ricettatrice d’oro a 75 anni: condannata l’anziana smascherata dopo il raggiro in gioielleria

I titolari avevano scoperto che i gioielli erano falsi o di dubbia provenienza. La Cassazione ha confermato
Si può compiere un reato anche quando forse sarebbe il caso di vivere in maniera più tranquilla e godersi altri piaceri della vita dopo una certa età. Anziana signora della Lucchesia condannata in via definitiva per truffa e ricettazione. Circa 5 anni fa quando di anni ne aveva 75 la donna era entrata in una gioielleria per vendere collane e anelli in oro per alcune migliaia di euro. La signora si presenta bene, accurata e ben vestita, e agli occhi del gioielliere nulla sembrava degno di sospetto anzi visti i modi gentili e l’età era stata trattata con la massima cura dai dipendenti ma dopo le parole iniziali quando si è entrati in trattativa sono iniziati i problemi e poi i guai. La donna mette sul bancone della gioiellerie vari oggetti d’oro tra collane, bracciali e anelli tutti con marchio regolare (apparentemente) e inizia la sua narrazione dicendo che si trattata di oggetti che ormai non utilizzava più che erano da anni ormai in suo possesso e che era sua intenzione disfarsene. Secondo la donna le facevano più comodo un po’ di contanti. Si va alla bilancia e tutto fila liscio fino a quando il gioielliere più esperto comincia a notare qualcosa che non va in tutto quell’oro ma in quel momento non è possibile effettuare i test per cui si decide ad occhio e di fidarsi di quella simpatica e gradevole anziana signora per cui la donna dopo aver firmato e lasciato copia dei suoi documenti riesce ad incassare il denaro e va via.
Ma dopo poche ora l’amara scoperta: in parte si tratta di oro falso e in parte di oggetti di dubbia provenienza e contraffatti. Le forze dell’ordine rintracciano la donna che non fornisce nessuna indicazione sulla provenienza dell’oro e a quel punto è inevitabile la denuncia sia per truffa sia per ricettazione. Condannata in primo e secondo grado ora è stata riconosciuta colpevole in via definitiva dalla suprema corte di Cassazione che nei giorni scorsi ha pubblicato la sentenza con le relative motivazioni. Scrivono gli ermellini sul punto più controverso del contenzioso, la ricettazione: “Ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede; il dolo di ricettazione, inoltre, ricorre nella forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale dell’acquisto di cose di sospetta provenienza”.
Nel processo in Cassazione è emerso chiaramente che i giudici di merito nei precedenti gradi di giudizio avevano dato conto della prova della contraffazione della merce in modo pertinente, “accertata anche nel presente procedimento”, facendo specifico riferimento alla circostanza per cui la donna, presentandosi con disinvoltura nella gioielleria con i gioielli placcati in oro (punzonati, col marchio 750 che attesta l’autenticità, con una contraffazione che costituisce il presupposto della ricettazione), firmava il modulo della vendita con le sue generalità e con la specificazione dei gioielli rilasciati e venduti, del peso e del valore corrisposto, integrando così anche gli elementi costitutivi del secondo capo d’imputazione, la truffa. Da tali risultanze processuali era venuta fuori la decisione finale dei giudici di Piazza Cavour: “Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende”. Il singolare caso giudiziario è chiuso.