“Ex infermiere morto per esposizione all’amianto”, nessun risarcimento alla famiglia

Anche la Corte d’Appello di Firenze respinge il ricorso degli eredi dell’ex lavoratore all’ospedale psichiatrico
Nessun risarcimento ai familiari dell’uomo morto per fibrosi polmonare che lavorava all’ex ospedale psichiatrico di Maggiano. Anche la corte d’Appello di Firenze ha respinto le istanze della figlia e della moglie che avevano chiesto il risarcimento danni per esposizione all’amianto che a loro dire avrebbe poi causato prima la malattia e poi la morte del congiunto.
Per i giudici del distretto fiorentino che hanno disposto nuove indagini e richiesto una seconda perizia diversa rispetto a quella di primo grado dei colleghi lucchesi, l’uomo avrebbe lavorato per 34 anni a Maggiano principalmente come infermiere e solo saltuariamente avrebbe svolto anche attività di manutenzione in luoghi (caldaie) dove poteva esserci la presenza di amianto.
Inoltre sempre secondo la corte d’Appello mancherebbero alcuni documenti medici e analisi, non più ripetibili, per poter stabilire se la malattia mortale contratta dall’uomo sia dipesa dall’esposizione all’amianto a Maggiano. Servirà la Cassazione per fare chiarezza in modo definitivo probabilmente. L’uomo aveva ricevuto in vita il riconoscimento della malattia professionale da parte dell’Inail e gli indennizzi previsti per legge ma alla sua morte, avvenuta nel 2014, gli eredi avevano chiamato in causa la Provincia di Lucca, l’Asl e la Regione Toscana che a loro volta avevano trascinato nel giudizio le compagnie assicurative ma già nel 2020 il Tribunale di Lucca aveva respinto il ricorso.
Il 27 giugno scorso è stata pubblicata la sentenza della corte d’Appello fiorentina a firma dei giudici Papait, Rugiu e Taiti, che hanno confermato le decisioni di primo grado, compensando integralmente le spese. Si legge in sentenza in uno dei passaggi cruciali: “In particolare, il perito osservava che il punto critico è pertanto quello della esposizione. L’asbestosi è malattia dose-dipendente e richiede per l’insorgenza una esposizione cumulativa di 25 fibre all’anno o almeno di 21 fibre all’anno, come analizzato nell’inquadramento nosografico. Nell’atto di appello è proposta una stima della esposizione media ponderata del dante causa di 0,1637 fibre/mL. Ammettendo una tale esposizione fino alla fine del periodo lavorativo, cioè 34 anni e 8 mesi ovvero 34,67 anni, includendo quindi sia il primo periodo di 7 anni 8 mesi e 20 giorni in cui l’attività principale era di ausiliario di assistenza ai degenti e solo in subordine la piccola manutenzione, sia l’ultimo periodo di 1 anno e 3 mesi in cui l’attività, non precisata dagli atti, potrebbe essere stata solo quella di infermiere psichiatrico, si avrebbe una esposizione cumulativa di 5,68 fibre x anno, ben lontana dal limite anche più cautelativo considerato necessario per l’insorgenza di asbestosi”.
Per i giudici del distretto fiorentino insomma non è possibile escludere un’altra causa, perché il quadro morboso è compatibile con la fibrosi polmonare idiopatica, che costituisce la forma più comune di fibrosi polmonare. In questo senso si espressero anche i medici che ebbero in cura il paziente nell’ultima degenza, come emerge dal resoconto processuale. I familiari eredi avevano chiesto un risarcimento di 112.455 euro a titolo di danno biologico, e di 9.616 a titolo di danno patrimoniale. Riassumendo, il ctu della corte d’Appello è pervenuto a tali conclusioni, senza negare la sussistenza di una esposizione, ma sul presupposto che detta esposizione non era di significativa entità, sì che la riferibilità causale della patologia all’ambiente lavorativo era soltanto “possibile”; tale affermazione era poi supportata da tutta una serie di considerazioni ulteriori fondate sull’esame dei segni clinici della malattia, sulla sua evoluzione temporale, ecc. Prosegue infatti la sentenza: “Le argomentazioni del ctu in punto di esposizione sono condivisibili: nella sostanza il prof. Romagnoli non ha escluso che vi fosse una esposizione conseguente allo svolgimento di attività lavorativa in locali in cui era presente amianto (come peraltro dedotto dal testimone escusso), ma lo stesso ha valutato detta esposizione insufficiente”. Gli eredi erano rappresentati dall’avvocato Nicola Pierotti, la Provincia dagli avvocati Lorenzo Corsi e Umberto Galasso, la Regione Toscana dall’avvocato Antonio Fazzi, l’Asl dagli avvocati Nicoletta Robiolo e Dorino Tamagnini, e le compagnie assicurative dagli avvocati Roberto Tartagli, Marino Bianco e Marina Bianco. Se ci sarà o meno un passaggio definitivo in Cassazione si potrà capire e sapere solo nei prossimi giorni dopo un esame attento delle complesse motivazioni della corte d’Appello di Firenze in merito a questo caso specifico.