Ha i requisiti per l’assunzione ma continua a lavorare da precaria: maxi risarcimento alla docente

La corte d’Appello ha condannato il Miur a pagare 128mila euro all’insegnante residente in Lucchesia
Maxi risarcimento per una insegnante della provincia di Lucca che ha vinto la causa contro il Miur all’interno di un procedimento che durava già da alcuni anni: la corte d’Appello di Roma le ha riconosciuto circa 128mila euro di differenze retributive per non essere stata assunta a tempo pieno e indeterminato come era nel suo pieno diritto.
La donna era in possesso del diploma di maturità magistrale conseguito nel 1995 il quale costituiva a tutti gli effetti titolo abilitante ex lege all’insegnamento nella scuola primaria e nella scuola dell’infanzia; inoltre insieme ad altri docenti, aveva impugnato dinanzi al Tar del Lazio, il decreto ministeriale 235 del 2014 con il quale il Miur aveva disposto l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per il personale docente ed educativo della scuola, per il triennio 2014-2017, senza prevedere la possibilità di inserimento in tali graduatorie dei docenti muniti, come nel suo caso, del diploma di maturità magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002.
Il Tar con la sentenza 7858 del 21 luglio 2014, aveva respinto il ricorso ma poi il Consiglio di Stato, con la sentenza 3628 del 2015, aveva accolto l’appello degli insegnanti e, per l’effetto, aveva riconosciuto il loro e il suo diritto ad essere inseriti nella terza fascia delle graduatorie permanenti, ora ad esaurimento, per le classi di concorso scuola primaria e scuola dell’infanzia.
Ma il Miur tarda ad ottemperare e la donna resta fuori dalle assunzioni del 2015 e solo alla fine del 2021 ottiene l’assunzione che le spettava, fino a quel momento trova lavoro solo a supplenza e in varie province italiane. Altri colleghi con un punteggio più basso del suo intanto ottengono l’assunzione a tempo pieno e indeterminato. I giudici di primo grado le danno torto e respingono il suo ricorso. Ma il 27 giugno scorso finalmente la storica sentenza di secondo grado, tanto attesa dalla donna, e i giudici della corte d’Appello di Roma, Zaccardi, Parolari e Lucarino, hanno ribaltato il verdetto di primo grado e stabilito che “l’appello è in buona parte fondato e va accolto”.
I giudici atteso che nel 2021 la donna era stata finalmente regolarizzata con l’assunzione definitiva hanno calcolato le differenze retributive tra quello che era riuscito a guadagnare negli anni in cui invece aveva diritto ad essere assunta e quello che avrebbe dovuto guadagnare. Si legge infatti molto chiaramente nella sentenza d’Appello dei giudici capitolini: “Va dunque dichiarato il diritto dell’appellante a ricoprire un posto a tempo indeterminato sin dal 1 settembre 2015 per l’insegnamento nella scuola primaria, con conseguente diritto al risarcimento del danno a carico del Ministero dell’istruzione e del merito, pari alle differenze retributive tra quanto spettante per effetto dell’assunzione a tempo indeterminato nella scuola primaria dal 1.9.2015 e quanto aliunde percepito così determinato: per l’anno 2015 15.109 euro; per l’anno 2016 17.076 euro; per l’anno 2017 18.687 euro; per l’anno 2018 18.910 euro; per l’anno 2019 19.750 euro; per l’anno 2020 18.695 euro; per l’anno 2021 20.392 euro”.
Per un totale di 128mila e 619 euro, oltre interessi legali dalla maturazione dei singoli crediti al saldo. Il Miur è stato condannato anche a circa 8mila euro di spese di lite e di giudizio.