Assolto con formula piena dopo 22 anni di carcere: Giuseppe Gulotta perde la prima battaglia per un nuovo risarcimento

Il 66enne ha chiamato in causa Palazzo Chigi, il Viminale, i ministeri della difesa e dell’economia e alcuni carabinieri, ai quali ha chiesto 69 milioni di euro
Immaginiamo per un attimo di essere improvvisamente arrestati e di finire in carcere per 22 anni di fila, e di restare sotto processo per ben 36 anni prima di una sentenza assolutoria definitiva, per un fatto che non abbiamo commesso.
Perché è questa è la storia dietro una recente sentenza del tribunale di Firenze, che è anche è il più grosso errore giudiziario della storia italiana che ancora non si è concluso del tutto. Giuseppe Gulotta infatti ha perso solo il primo grado di giudizio nella sua battaglia civile, stavolta per il risarcimento dei danni subiti. Danni che ovviamente nessuna cifra al mondo potrà mai sanare. La sua storia, su cui è stato scritto di tutto, il 7 luglio scorso ha registrato la sentenza del tribunale civile di Firenze (competente per territorio vista la carcerazione nell’istituto di San Gimignano) che ha rigettato la sua richiesta di 69 milioni di euro di risarcimento danni condannandolo anche a 27mila euro (riuniti i tre giudizi separati) di spese di lite e di giudizio. Ma il giudice fiorentino Susanna Zanda nelle motivazioni stigmatizza in più passaggi “l’inadeguatezza del sistema penale italiano e della prescrizione penale ma non consente di annullare o bypassare l’istituto di decadenza e prescrizione dell’azione civile, posta a tutela della certezza del diritto”. E lascia anche una porta aperta per invocare i danni per tortura. “Quindi seppure penalisticamente parlando non era stato introdotto il reato di tortura fino al 2017 (legge 110/2017), il Gulotta ben poteva agire civilmente per chiedere i danni da tortura anche prima, tenuto conto del fatto che anche prima la tortura di soggetti ristretti è sempre stata avvertita come contra ius, sia per le molteplici norme penali che comunque prevedevano il disvalore delle condotte di tortura sia perché esisteva la convenzione dei diritti dell’uomo art. 3 sia per quanto prevede anche l’art. 4 della Carta di Nizza avente valore pattizio e quindi direttamente efficace a partire dall’anno 2007. Per questi motivi l’azione di danno intentata nel febbraio 2019 dopo un’assoluzione per omicidio del 2012 passata in giudicato nel giugno 2014 per fatti del 1976 deve considerarsi anche prescritta”.
La vicenda relativa al risarcimento ulteriore dei danni subiti dunque potrebbe arrivare sul tavolo dei giudici della Corte d’Appello e poi ancora in Cassazione. L’uomo ha già ricevuto dallo Stato 6 milioni e mezzo di euro come rimborso per l’errore giudiziario e per l’ingiusta detenzione ma Gulotta ora ha iniziato un iter processuale nuovo, esattamente dal 2019, per chiedere ulteriori danni. Giuseppe, oggi 66 anni, rappresentato dall’avvocato Pardo Cellini ha chiamato in causa il Viminale, il ministero della difesa, il ministero dell’economia, la presidenza del consiglio dei ministri e i carabinieri che lo hanno arrestato e a suo dire anche picchiato, chiedendo quasi 70 milioni di euro per tortura, inadeguatezza della legislazione italiana nella prevenzione e repressione degli atti di tortura, violazione dei diritti umani, violazione della convenzione europea dei diritti dell’uomo, frode processuale, danni patrimoniali e non patrimoniali.
La storia
Il suo incubo personale inizia con una tragedia. Il 27 gennaio 1976 Trapani si svegliò sotto shock: in località Alcamo Marina, nella notte, alcuni malfattori fecero irruzione all’interno di una stazione dei carabinieri, uccidendone due con un’arma da fuoco, i giovani Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. L’iter processuale della strage di Alcamo fu molto lungo e complesso: il 10 febbraio 1981 i quattro furono assolti dalla corte d’assise di Trapani e scarcerati, quindi il 23 giugno 1982 nuovamente condannati a 20 anni e incarcerati per mezzo della Corte d’assise di appello di Palermo, in seguito la Cassazione annullò la sentenza, la Corte d’assise di appello di Palermo li condannò ancora nel 1985, e la Cassazione riannullò la sentenza il 12 ottobre 1987. Ma non finisce qui: la Corte di Assise di Appello di Caltanissetta poco dopo li ricondannò a 30 anni di carcere, la Cassazione annullò la sentenza, e la Corte di Assise di Appello di Catania nel novembre 1989 li condannò definitivamente all’ergastolo. Nel frattempo iniziò il carcere. Dopo 9 anni di prigionia a loro dire ingiusta, Mandalà morì di tumore alla prostata, mentre Santangelo e Ferrantelli tra un appello e l’altro scapparono in Brasile dove ottennero lo status ufficiale di rifugiati. Intanto, Gulotta rimase in carcere. Dopo 22 anni di carcere, Giuseppe Gulotta uscì in libertà vigilata, il 22 luglio 2010. Un anno dopo, nel 2011, l’avvocato Baldassarre Lauria dell’associazione “Progetto Innocenti” riaprì il processo, e il 26 gennaio 2012 il procuratore generale della Corte d’Appello di Reggio Calabria chiese il proscioglimento da ogni accusa di Giuseppe Gulotta, che nel frattempo scontava l’ergastolo in regime di libertà condizionata. Il 13 febbraio 2012, 36 anni esatti dopo l’accusa e dopo 22 anni passati in carcere, la corte lo assolse con formula piena. La procura rinunciò a ricorrere in Cassazione; Gulotta fu assolto in sede di revisione del processo per errore giudiziario e ingiusta detenzione, con un rimborso di 6 milioni e mezzo di euro da parte dello stato. Ora la sentenza di primo grado del processo civile per tutti i danni subiti che però sembra essere solo l’inizio di un processo che molto probabilmente proseguirà in corte d’Appello di Firenze e eventualmente fino a Piazza Cavour, a cui spetta l’ultima parola, ma solo da un punto di vista giudiziario e sulle richieste di risarcimento di Gulotta. Ma chiaramente una vicenda del genere non può essere affrontata solo da un punto di vista giudiziario o giuridico. Si vedrà.