L’assicurazione sulla vita era ‘fasulla’: i soldi della polizza investiti sul mercato azionario. Donna risarcita per 110mila euro dalla compagnia

Il giudice del tribunale di Lucca condanna la società che aveva proposto la stipula
Assicurazioni sulla vita che in realtà sono solo investimenti sul mercato azionario, le cosiddette polizze unit linked. Il tribunale di Lucca con una sentenza dei giorni scorsi a firma del giudice Giacomo Lucente ha condannato una compagnia a restituire 110mila euro più interessi e rivalutazione a una cittadina lucchese che aveva stipulato questa particolare forma di investimento.
Le polizze linked rappresentano una forma di investimento e rientrano nel novero dei contratti assicurativi conclusi per la gestione del patrimonio. Divergono dalle polizze vita tout court, le quali prevedono una garanzia di risultato, con un rendimento annuo minimo. Nelle linked, infatti, le prestazioni sono rimesse al valore delle quote di organismi di investimento collettivo o a fondi o ancora ad altri parametri. La misura della prestazione dipende dalle variazioni del bene oggetto di contrattazione nel mercato finanziario.
Semplificando, si può affermare che, mentre un’assicurazione sulla vita è finalizzata ad accumulare un capitale garantito a scopo previdenziale, le polizze linked possono determinare persino la perdita complessiva del patrimonio investito. Per questa ragione è molto discussa la loro natura, che può essere finanziaria o assicurativa. Sul punto, la Cassazione ha già chiarito che il contratto di assicurazione sulla vita è tale solo qualora rechi la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza; in difetto, il suddetto contratto deve considerarsi un investimento finanziario, con la conseguente applicazione della disciplina del Tuf (testo unico finanziario) e del regolamento Consob. O è una polizza assicurativa che garantisce quindi almeno il capitale investito, o è un investimento finanziario e il cliente accetta il rischio di perdere tutto, le due cose insieme non possono coesistere secondo la Cassazione e il tribunale cittadino si è quindi adeguato. Infatti, se il rischio è posto per intero in capo al soggetto assicurato, si ricade in una fattispecie contrattuale diversa dall’assicurazione sulla vita, in cui l’intermediario deve rispettare le regole di leale comportamento previste dalla normativa. Inoltre, la natura speculativa e non assicurativa del negozio importa un’altra disciplina in ambito successorio e fiscale. E il Tribunale cittadino si è adeguato alle pronunce della Cassazione.
La sentenza
La donna lucchese dopo vane comunicazioni con la compagnia, aveva invocato in Tribunale la nullità del contratto per violazione degli articoli 21 e 23 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. La richiesta di nullità è stata accolta dal Tribunale di Lucca, che ha dichiarato il contratto nullo per difetto di forma ad substantiam. L’accoglimento dell’azione di nullità ha comportato anche l’azione restitutoria, per cui l’attrice ha diritto alla restituzione delle prestazioni eseguite in esecuzione del contratto nullo secondo le regole dell’indebito oggettivo.
Quindi, la donna ha diritto alla restituzione del capitale investito, detratto quanto già ritirato, per 110.500 euro oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Secondo il Tribunale di Lucca, l’intermediario ha l’obbligo di fornire al cliente al dettaglio, quindi non professionista, adeguate e chiare informazioni sui prodotti finanziari ed assicurativi offerti, di acquisire informazioni sulla propensione al rischio dell’investitore, più stringenti e rigorose nel caso di soggetto non professionale. Tale specifico obbligo deve quindi tradursi nell’acquisizione di dati circa la preparazione dell’investitore, la sua conoscenza ed esperienza in materia di strumenti finanziari e la propensione al rischio. La donna è stata coadiuvata nell’azione legale dall’associazione Aeci di Firenze. La compagnia è stata condannata anche alle spese di lite e di giudizio.