Pagata per 15 ore nell’hotel di lusso ma ne lavora oltre 40: il giudice d’appello risarcisce la lavoratrice

18 agosto 2023 | 12:49
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Pagata per 15 ore nell’hotel di lusso ma ne lavora oltre 40: il giudice d’appello risarcisce la lavoratrice

La corte d’Appello ha condannato al pagamento delle differenze retributive, in solido, l’albergo e la ditta di pulizie

Il mondo del lavoro nella realtà è molto più complesso del dibattito politico e di certo più insidioso di quel che si potrebbe pensare. Lavoro povero ma spesso oltre alla scarsità del salario ci sono casi di vero e proprio sfruttamento dei lavoratori. In costante aumento. E quasi sempre l’unico modo per far valere i propri diritti è rivolgersi a un legale di fiducia e fare causa, con tutte le incognite che ne derivano sia per le decisioni dei giudici sia per eventuali ritorsioni dei datori di lavoro.

Una delle pratiche più diffuse e oggetto di contenziosi giudiziari è quella di far lavorare il lavoratore ben oltre gli orari previsti dal contratto e spesso il lavoratore acconsente pur di guadagnare. L’ultimo caso finito con una sentenza di condanna da parte della Corte d’Appello fiorentina riguarda una cameriera che dopo un anno di sfruttamento, per come emerge dal resoconto processuale, e stanca evidentemente di essere pagata per 15 ore a settimana, quando in realtà lavorava tra le 42 e le 48 ore a settimana e spesso senza giorno di riposo, si è rivolta lo scorso anno al tribunale cittadino che però ha respinto le sue istanze.

Di parere completamente opposto invece i giudici di secondo grado che nei giorni scorsi hanno condannato la società cooperativa per cui lavorava in solido con l’hotel con il quale la società aveva un contratto di appalto per le pulizie delle camere. La società proprietaria di uno dei più prestigiosi hotel della Versilia si è dichiarata del tutto estranea alla vicenda e che aveva solo un contratto d’appalto con la ditta di pulizie ma per la corte d’Appello di Firenze è responsabile ugualmente delle differenze retributive dovute alla cameriera.

Ma c’è di più. Nel processo, come si legge in sentenza, sono emerse vicende che vanno al di là del caso in questione, attraverso le testimonianze. Ben 5 colleghe della donna, tutte di origini straniere, non solo hanno corroborato la tesi sostenuta ma una di loro è già in causa con la ditta di pulizie per gli stessi motivi e per periodi superiori. Si legge nella sentenza d’appello a firma dei giudici Baraschi, Tarquini e Mazzeo pubblicata nei giorni scorsi: “La testimone che ha lavorato con la appellante da fine luglio 2019, riferisce un orario dal lunedì alla domenica, con un giorno di riposo quando era possibile, dalle 8,30 alle 17,30. Questa testimone ha proposto, a sua volta, una causa avverso il datore di lavoro ed ora pende l’appello”. E ancora: “Un’altra testimone ha riferito di essere stata dipendente dal 2012 al 2020. Orario riferito dalle 8-9 alle 16-17 quando si faceva straordinario, altrimenti prima. Poteva capitare che il giorno di riposo saltasse quando l’albergo era al completo, ossia a luglio e agosto”. Per i giudici di secondo grado le testimonianze concordanti tra loro sono la provo necessaria e sufficiente per dimostrare che la donna ha diritto alle differenze retributive nel periodo in cui ha lavorato alle dipendenze della ditta treviggiana di pulizie, che aveva reclutato in Lucchesia sia lei sia le sue colleghe, che a sua volta aveva un regolare contratto d’appalto con il prestigioso hotel della Versilia per lavorare 3 ore al giorno per 5 giorni a settimana. Ma così non era nella realtà stando al resoconto processuale.

Conclude la sentenza d’appello: “Nel caso in esame è tuttavia emerso che gli orari erano variabili, giorno per giorno e questo è, certamente, verosimile considerando che l’attività alberghiera risente ovviamente del maggiore o minore afflusso di clienti. Le testimoni, inoltre, non hanno lavorato tutte nello stesso periodo. Sulla base di queste considerazioni si deve ritenere che la prova di un maggior orario comunque sia emersa in quanto tutte le testimoni hanno riferito che la donna lavorava, almeno, fino alle 16 a partire dalla 8 di mattina. Mentre avrebbe dovuto lavorare per 5 giorni alla settimana, dalle 9 alle 12 (totale 15 ore alla settimana)”.

La ditta di pulizia e la società proprietaria dell’hotel sono state quindi condannate in solido al pagamento delle relative differenze retributive da quantificarsi in separata sede oltre 8mila euro di spese di lite. La donna è stata rappresentata dall’avvocato Claudio Lalli, le due società dagli avvocati Silvia Ruzzene e Luca Marra. Queste le decisioni dei secondo grado sul caso, in attesa della sentenza riguardante l’altra donna attesa nelle prossime settimane per gli stessi motivi e nei confronti delle stesse società.