Le violenze in famiglia |
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Denuncia il marito dopo anni di violenze: “Mi picchiava e minacciava di darmi fuoco”

31 ottobre 2023 | 18:52
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Denuncia il marito dopo anni di violenze: “Mi picchiava e minacciava di darmi fuoco”

Il racconto della donna: “Anche adesso che è stato condannato non mi sento al sicuro ma ho deciso di tornare nella casa che ero stata costretta ad abbandonare”

Ha subito le minacce e le violenze del marito per 35 lunghi anni, ma adesso, dopo aver trovato il coraggio di denunciare il suo compagno, rivolgendosi al centro anti-violenza dell’associazione Luna di Lucca, è riuscita a voltare pagina. E’ tornata nella sua casa di sempre ed anche se ammette di non sentirsi ancora al sicuro, vuole che la sua vicenda sia resa nota perché sia di stimolo alle tante donne che subiscono, senza ribellarsi.

Il lungo racconto di Sara – il nome che indichiamo è di fantasia a tutela della vittima di violenza – passa attraverso momenti drammatici. Uno dei più terribili risale a qualche anno fa, nel primo periodo di matrimonio: “Ricordo quando mio marito, al culmine di uno dei litigi in cui in realtà prendeva parte soltanto lui, mi gettò addosso del liquido infiammabile, minacciandomi con l’accendino di darmi fuoco: in quel momento provai più paura che se avessi avuto una pistola puntata addosso”. E’ solo una delle tante violenze che Sara, 52 anni, di Lucca ha sopportato prima di convincersi a recarsi al pronto soccorso del San Luca dove è stato attivato il codice rosa. “Sono stata accudita e ascoltata”, racconta la donna. E da quel momento era scattata la segnalazione per maltrattamenti in famiglia che nel gennaio scorso hanno portato alla condanna a due anni e 4 mesi per maltrattamenti in famiglia e un anno e 4 mesi per detenzione illegale di armi ma “pochi giorni dopo la sentenza ha avuto il permesso per andare a lavoro”.

E, stando al racconto della donna, ha ripreso a tormentarla: “Il 5 giugno – racconta – si è appostato fuori dal mio posto di lavoro, è stato riconosciuto e sono state chiamate le forze dell’ordine. Nonostante lui non potesse uscire se non per recarsi a lavoro, era venuto a cercarmi. L’episodio era stato ritenuto insignificante. Niente per lui cambia. E mi muovo presa dalla rabbia e contatto sia la stampa che il Quirinale. Con mia sorpresa ricevo risposta. Nonostante lo Stato abbia fatto ciò che ha ritenuto opportuno, io non mi sono mai sentita al sicuro”. E’ poco dopo, nel luglio scorso, che la donna prende una decisione irrevocabile: “Sarei tornata nella mia casa, alla mia vita – racconta -: non volevo più nascondermi e scappare come avevo fatto in passato, perché non ero io la colpevole. Mi mancavano i miei figli, mio nipote, le mie amiche e colleghe di lavoro, la mia casa, i luoghi in cui ho sempre vissuto”.

La scelta di allontanarsi era stata obbligata per Sara: “Dopo essermi recata per il codice rosa al pronto soccorso – racconta – ho accettato il trasferimento in una struttura protetta. Dopo un paio di giorni sono stata contattata dalle forze dell’ordine che avevano ricevuto la segnalazione dall’ospedale. Sono stati molto umani e per 12 ore hanno ascoltato la mia storia di 35 anni di violenze”.

Quello di Sara con l’uomo che sarebbe diventato il suo aguzzino era stato un amore travolgente, almeno agli inizi. La donna aveva deciso di sposarlo, pur non avendo ancora compiuto 18 anni, con il consenso dei genitori. La coppia ha una figlia, e da quel momento iniziano le violenze: “Una volta si arrabbiò perché avevo lasciato la bambina senza il suo permesso con dei suoi parenti per circa un’ora. Mi portò con la macchina in campagna di notte. Durante il viaggio mi ricoprì di insulti e schiaffi e mi ordinò di scendere, picchiandomi selvaggiamente. Pensai che sarei morta. Provavo ancora dei sentimenti verso di lui ma iniziai a chiedermi se la mia vita non sarebbe stata migliore senza di lui”. I problemi si acutizzarono quando la donna, segretaria d’azienda, prese a lavorare part time. Le sue scenate però alle lunghe la convinsero a mollare il lavoro. “Ero incinta del mio secondo bambino”, racconta la donna: “Mi sentivo in gabbia, non vedevo una via d’uscita – confessa – dovevo pensare ai figli. Nel 2013 scappai di casa per la prima volta e mi sono rivolta al 1522 che mi ha messo per la prima volta in contatto con l’associazione Luna. Nel 2013 la risposta dello Stato ai problemi delle donne vittime di maltrattamenti non era la stessa di oggi: non esisteva una rete strutturata di protezione, non c’erano certezze rispetto agli esiti di una eventuale denuncia. Avevo paura per la mia vita e per il benessere dei miei figli. Ancora una volta sentii di non avere scelta e tornai a casa da un uomo che ero certa di non amare più e che temevo. I dieci mesi successivi furono terribili”.

La gelosia non si era placata. Nemmeno quando, anni dopo, la donna decide di riprendere a lavorare per una impresa di pulizie: “E’ stato un inferno – racconta -: mio marito mi costringeva a passare la giornata lavorativa in videochiamata con lui perché pretendeva di avere le prove che lo stessi tradendo”. Poi la decisione di chiudere con il passato e con il marito violento nel gennaio di quest’anno: “Ho preso in un solo attimo la decisione di andarmene e non tornare più”. Da qui poi la scelta di affidarsi ai professionisti del Codice rosa che hanno aiutato la donna a guardare avanti.