Sul certificato penale risulta una condanna per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: ma è un errore di persona

6 novembre 2023 | 16:53
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Sul certificato penale risulta una condanna per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: ma è un errore di persona

Un cittadino senegalese, in regola con il permesso di soggiorno, che da anni risiede e lavora a Trieste ottiene ragione in Cassazione dopo tre anni di battaglie legali

Incredibile ma vero. Sulla sua fedina penale c’è una condanna per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina emessa dal tribunale di Lucca, ma lui non si chiama come l’imputato, dopo 3 anni di battaglie legali la Cassazione risolve il mistero: hanno sbagliato a Trieste, dove risiede da anni, a trascrivere l’esatto nominativo del condannato, molto simile al suo.

Cittadino senegalese, in regola con il permesso di soggiorno, che da anni risiede e lavora a Trieste, nel chiedere copia del suo certificato del casellario giudiziale, per motivi personali e di lavoro, scopre di avere una condanna penale per reati che lo lasciano basito: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nel controllare meglio il certificato si rende conto, dopo lo choc iniziale, che si tratta di un errore palese e anche grossolano, perché il cognome è uguale, anche la data di nascita purtroppo, ma il nome è diverso così come la residenza di quel periodo.

Nel 2004 infatti lui si trovava a Bergamo mentre il condannato a Lucca, e proprio dal tribunale di Lucca era stato condannato il vero imputato. A quel punto ne parla con un avvocato e dopo la tensione iniziale gli animi si stemperano e si sorride, pensando a un errore burocratico di facile risoluzione, e nulla lasciava presagire che invece si sarebbe dovuti arrivare fino alla suprema corte di Cassazione per porre rimedio all’incredibile vicenda. Il giudice dell’esecuzione di Trieste, infatti, aveva rigettato il suo ricorso, dove chiedeva la cancellazione della condanna dal casellario, perché i magistrati si convincono che a Lucca è stato condannato un altro al posto suo.

Oltre al danno la beffa. Gli crolla il mondo addosso, la condanna era legata alla normative sull’immigrazione clandestina per cui se non fosse riuscito a dimostrare la sua estraneità totale ai fatti rischiava tutto quello che aveva costruito in questi anni in Italia. Incredibile ma vero. Nonostante avesse dimostrato, documenti alla mano, che all’epoca della condanna lui fosse già regolarmente in Italia da anni e che quindi non era stato condannato un altro al suo posto, ma che proprio non c’entrava niente e che era solo un caso di omonimia, solo nei giorni scorsi è riuscito a dimostrare quello che da oltre 3 anni afferma.

La condanna di Lucca era assolutamente corretta ed era stata emessa nei confronti della persona che effettivamente aveva commesso i reati, ma per un errore burocratico, e di trascrizione del nome, sul certificato penale c’era finito il suo nome e non quello del vero imputato responsabile di una tratta di immigrati irregolari dall’Africa, un nome molto simile sia per scrittura sia per pronuncia. La medesima data di nascita aveva infine generato il caos e i giudici di Trieste non gli avevano creduto molto probabilmente o comunque avevano dubbi come emerge dalla sentenza della Cassazione.

A quel punto il suo legale ha dovuto accedere all’intero fascicolo d’inchiesta alla base del processo per dimostrare che si trattava di due persone diverse e che il suo assistito in quegli anni non si trovava a Lucca ma a Bergamo, dove per fortuna lavorava già in modo regolare da alcuni anni come operaio, e che nulla aveva a che fare con l’intera vicenda. Si legge nella sentenza motivata della Cassazione: “Nel provvedimento impugnato il giudice dell’esecuzione, pur dando atto che la sentenza del tribunale di Lucca risultava pronunciata nei confronti di un uomo, nato in Senegal il il 10 ottobre del 1973, che il certificato anagrafico presente nel fascicolo processuale si riferiva a tale soggetto, che il medesimo era indicato nel verbale di identificazione della persona nei cui confronti sono svolte le indagini, e che sempre nei confronti di costui era stato emesso il decreto di citazione a giudizio, è pervenuto alla conclusione del tutto illogica e contraddittoria che il processo si fosse svolto nei confronti di persona diversa da quella contro cui si sarebbe dovuto procedere, non tenendo conto della documentazione prodotta dalla difesa, dalla quale emergeva, tra l’altro, che l’odierno ricorrente era soggetto censito e titolare di regolare permesso di soggiorno”.

E infine: “Trattandosi di valutazione illogica ed incongrua rispetto alle risultanze degli atti, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al tribunale di Trieste per un nuovo giudizio”. Ora finalmente l’uomo otterrà la cancellazione della condanna dal suo certificato e potrà tirare un più che meritato sospiro di sollievo, anche se gli rimarrà in mente a lungo questo suo assurdo e rocambolesco viaggio nella burocrazia italiana che a volte trascende l’umana comprensione.