Lavora per la ditta della moglie mentre è in servizio in questura: agente dovrà rimborsare i compensi

I giudici del Tar respingono il ricorso dell’assistente capo contro il provvedimento del questore
Per l’accusa avrebbe svolto il lavoro di agente di vendita per la ditta individuale della moglie mentre era in servizio in qualità di assistente capo alla questura di Livorno. Il tribunale amministrativo regionale ha respinto il ricorso con il quale Michele Volgano ha impugnato l’ingiunzione di pagamento firmata dal questore di Livorno il 23 maggio 2019, con la quale si imponeva il pagamento di 99.027,49 euro, come ammontare di compensi percepiti mentre avrebbe svolto “attività lavorativa non autorizzata” dalla questura, per un periodo che andrebbe dal 2014 al 2017.
Volgano che aveva prestato in passato servizio anche alla questura di Lucca, rimanendo coinvolto in una inchiesta che ipotizzava un giro di permessi di soggiorno facili rilasciati ad avvenenti ballerine dell’Est che si esibivano in un locale notturno a Pistoia, assistito dagli avvocati Pietro Gustinucci e Cecilia Bertolini, si è visto respingere dal Tar il ricorso, con il quale sosteneva, in sostanza, di non dover restituire i compensi oltre la data del 30 giugno 2015, data in cui ha sostenuto di aver cessato “ogni attività privata”, dopo l’intimazione della questura.
Al provvedimento della questura, secondo quanto ricostruito dai giudici, si era giunti dopo una serie di indagini, in cui si erano interpellati anche i rappresentanti delle ditte con le quali la società riconducibile alla moglie di Volgano aveva avuto rapporti, le quali avrebbero sostenuto che “tutti i contatti ed i rapporti commerciali” erano intercorsi Volgano che “provvedeva – si legge nel dispositivo della sentenza del Tar – ad inoltrare gli ordini dei clienti anche quando la fatturazione delle provvigioni risultava a nome delta ditta individuale intestata alla moglie. In alcuni casi, le imprese interpellate hanno riferito che il dipendente pubblico si era presentato come collaboratore della ditta di rappresentanze in capo al coniuge”.
Il ricorrente, in particolare, ha contestato la richiesta di restituzione delle somme, oltre la data del 30 giugno 2015, sostenendo che da quel momento avrebbe interrotto ogni tipo di attività oltre al suo incarico per la questura. Ma i giudici hanno respinto il ricorso, che potrà comunque essere appellato.