Fondi distratti dal fallimento della ditta, battaglia tra Agenzia delle Entrate ed ex soci

L’amministrazione finanziaria chiede a due il pagamento delle tasse sulle somme distratte ma la commissione tributaria regionale respinge il ricorso. Ora la Cassazione annulla tutto e rimanda il caso in aula
Erano stati accusati di essersi appropriati di 7 milioni e 503mila euro, distraendo l’ingente somma dal fallimento di una impresa individuale di Lucca, servendosi per l’accusa di una società ‘paravento’ ma di fatto intascandosi il denaro. Una circostanza, tuttavia, che, secondo la commissione tributaria regionale della Toscana, non sarebbe stata provata nel corso del procedimento penale: ovvero non sarebbe certo che gli ex soci abbiano intascato il denaro.
Con quella accusa erano comunque finiti a vario titolo nei guai in 4 soci. In sede penale, i 4 erano stati condannati alla restituzione, con sentenza divenuta definitiva, delle somme, ma come conseguenza civile di condotte che per i giudici avevano integrato il reato di abuso di ufficio, dichiarato però estinto per prescrizione. Dopo di che, si era aperta una procedura a livello tributario dal momento che l’Agenzia delle Entrate aveva chiesto, attraverso un avviso, agli interessati il pagamento ai fini Irpef e Iva per il 2004, calcolati su una quota parte del presunto illecito profitto dalla distrazione dei fondi nell’ambito del fallimento.
Due almeno degli imputati avevano, di conseguenza, impugnato di fronte alla commissione tributaria di Lucca l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva ripreso a tassazione, ai fini Irpef e Iva, per l’anno 2004, l’importo corrispondente alla singola quota di partecipazione al presunto profitto derivato dalla distrazione di somme che si riteneva avessero commesso in concorso con altre due persone.
La commissione aveva accolto i ricorsi presentati distintamente dai due ex soci e i successivi Appelli, proposti dall’Agenzia delle Entrate davanti alla Commissione tributaria regionale della Toscana erano stati respinti nel 2019.
Secondo la ricostruzione dei giudici regionali, in sede penale sarebbe emerso che la società paravento che sarebbe stata utilizzata per la distrazione dei fondi avrebbe percepito somme “favorita da un abuso d’ufficio”, tuttavia, stando sempre ai giudici dell’Appello, non ci sarebbe stata invece prova convincente che i quattro avessero intascato il denaro. Questi ultimi, quindi, erano stati condannati a restituire l’importo distratto quale conseguenza della loro responsabilità dell’abuso d’ufficio, ma poiché era stato accertato il solo “arricchimento” della società, la condanna pecuniaria si era tradotta nell’adempimento “di un obbligo risarcitorio”, non essendo provato che era stato prodotto un reddito imponibile. Contro questa sentenza aveva presentato ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate. Gli ermellini hanno disposto l’annullamento delle sentenze di secondo grado, rinviando il caso alla corte di giustizia tributaria toscana.