Fatture per operazioni inesistenti, designer di moda incastrato dalle intercettazioni telefoniche

Per i giudici i documenti emessi erano falsi: confermata la condanna a due anni
Due anni di reclusione per un giro di fatture false. E’ questa la condanna confermata dai giudici della Cassazione nei confronti di un designer di moda di 63 anni, residente in provincia di Lucca. Gli ermellini hanno, infatti, respinto il ricorso presentato dall’imputato confermando la sentenza dei giudici della Corte di Cassazione.
Il designer, secondo quanto ricostruito, avrebbe emesso, con la sua partita Iva, dieci fattura per operazioni inesistenti, con l’obiettivo di consentire di evadere le imposte ad imprenditori compiacenti dai quali si faceva versare il denaro corrispondente, con la promessa di restituirlo decurtato delle cifre corrispondenti all’Iva da versare. E’ questa, almeno, la ricostruzione fatta accolta dai giudici della Corte d’Appello di Firenze che contestano al designer le dieci fatture emesse tra il 28 dicembre del 2011 e il 12 dicembre del 2014. Secondo l’accusa, il 63enne avrebbe anche occultato le scritture contabili e gli altri documenti di cui è obbligatoria la conservazione e in particolare quelli relativi alle fatture tra il 2010 e il 2015.
L’indagine era partita da alcune intercettazioni telefoniche. Stando a quanto ipotizzato dall’accusa, il designer contattava imprenditori e proponeva loro di fornire fatture per operazioni inesistenti, dietro la ricezione della somma indicata nel documento e con impegno a restituirla decurtata di quanto avrebbe dovuto essere corrisposto a titolo di Iva.
Stando alla sentenza dei giudici di secondo grado, in alcuni casi, avrebbe anche omesso di restituire quanto ricevuto, confidando di non essere denunciato per il fatto che l’operazione avrebbe potuto mettere nei guai anche gli imprenditori coinvolti. I giudici avrebbero anche accertato che più fatture emesse dal designer sarebbero state state rinvenute nella contabilità dei destinatari, e che questi ultimi le avevano pagate solo relativamente all’importo Iva. Messi alle strette, tra l’altro, alcuni di questi imprenditori avevano ammesso di non aver ricevuto alcun tipo di prestazione. In altri casi, relativi ad alcune delle fatture contestate, l’accusa aveva addotto come prova le conversazioni telefoniche fra il designer e i destinatari delle fatture stesse, che, era stato sostenuto, avrebbero confermato l’esistenza dell’accordo truffaldino.