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Si amputa un braccio mentre lavora al macchinario in una ditta: maxi risarcimento per un facchino

15 maggio 2024 | 12:10
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Si amputa un braccio mentre lavora al macchinario in una ditta: maxi risarcimento per un facchino

Secondo il giudice il lavoratore non poteva utilizzare la macchina ‘scorniciatrice’ che per l’accusa era anche difettosa

Era assunto come dipendente di una cooperativa sociale con sede legale ad Altopascio con la qualifica di facchino ma era stato messo a lavorare ad una macchina multilame e di una scorniciatrice all’interno di una ditta di Castelfranco di Sotto, dove l’1 dicembre del 2014 era rimasto vittima di un infortunio che l’aveva portato all’amputazione del braccio destro. Un incidente che, stando alle ipotesi accolte dal giudice del lavoro del tribunale di Lucca, sulla scorta delle valutazioni del Ctu, hanno portato l’operaio ad un danno biologico permanente, a causa dell’inabilità al lavoro provocato da quel drammatico episodio.

Per questi motivi, nell’ambito della causa civile intentata dal lavoratore lucchese, il giudice Alfonsina Manfredini ha condannato il legale rappresentante della ditta di Castelfranco in solido con altri – responsabili dell’azienda al momento dell’infortunio – a risarcire il dipendente della cooperativa con 604.607 euro.

Secondo quanto era stato sostenuto dall’accusa, il facchino sarebbe stato messo dapprima a lavorare ad una macchina multilame e successivamente ad un altro macchinario detto scorniciatrice, in violazione – ha sostenuto sempre il giudice – del divieto contrattuale di impiegarlo in lavori diversi da quelli di facchinaggio, per cui era stato assunto.

Mentre l’operaio stava lavorando alla scorniciatrice di proprietà si era procurato l’amputazione del braccio destro rimasto incastrato negli ingranaggi della macchina. Secondo quanto è stato ricapitolato nella sentenza del giudice, l’infortunio si era verificato perché il cofano di protezione frontale del macchinario era aperto ed il micro-interruttore, posto tra lo sportello anteriore della macchina e il carter che assicura l’arresto degli organi ruotanti non avrebbe funzionato.

Stando alle indagini svolte dagli ispettori sarebbe risultato che il macchinario, oltre ad aver il microinterruttore non funzionante, presentava anche altre anomalie. In particolare nel corso di alcune simulazioni di funzionamento gli ispettori avevano sostenuto che l’attuatore di fine corsa rimaneva bloccato sia in posizione di chiusura (molla compressa) che in posizione di apertura (molla rilasciata) a causa di sporco accumulato di cui, sempre dalle indagini svolte dagli ispettori, il lavorare non era stato adeguatamente informato. Un quadro che, per l’accusa, sarebbe alla base delle cause dell’infortunio costato un braccio al facchino.