I dipendenti del locale vogliono il tempo pieno dopo lo stop all’accordo sindacale: la vicenda torna in Corte d’Appello

30 giugno 2024 | 12:05
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I dipendenti del locale vogliono il tempo pieno dopo lo stop all’accordo sindacale: la vicenda torna in Corte d’Appello

La Cassazione ha rimandato al giudice di secondo grado la decisione sul ricorso di un gruppo di ex dipendenti della Capannina di Franceschi

Torna in Corte d’Appello a Firenze, in diversa composizione, la vertenza di alcuni ex lavoratori della Capannina di Franceschi di Forte dei Marmi. Così ha deciso la Corte di Cassazione dopo il ricorso dei dipendenti contro la sentenza di Corte d’appello che aveva ribaltato la sentenza loro favorevole del tribunale di Lucca.

La vicenda risale all’ottobre del 2015 quando un accordo sulla riduzione dell’orario di lavoroera stato disdettato. Tale disdetta, secondo i ricorrenti, avrebbe comportato il reintegro nel tempo pieno. La richiesta per i dipendenti, ooccupati con diverse mansioni in discoteca, sala da ballo, ristorante e bar, era quindi quella di ottenere la differenza retributiva dal momento della disdetta dell’accordo alla data di deposito del ricorso giudiziario, circa sette mesi.

A un primo riconoscimento delle ragioni dei ricorrenti del tribunale di Lucca è seguita la sentenza della Corte d’Appello che ha invece concluso come, nei fattti, i rapporti di lavoro esistenti erano da moltissimi anni, se non dall’origine, a tempo parziale verticale, per i giorni di apertura del locale, per comune intesa delle parti, pur in assenza di una forma scritta.

Due i motivi di ricorso in Cassazione: la prima è violazione e falsa applicazione di legge per non aver, secondo i dipendenti e i loro legali, la Corte tenuto conto della messa in mora dei lavoratori del marzo 2016 in cui avevano dichiarato di mettere a disposizione le proprie energie lavorative per il full time. Inoltre contestano l’omesso esame sia delle lettere di messa in mora sia della disdetta dell’accordo sindacale dall’azienda.

La Cassazione, nel cassare la sentenza di appello, ribadisce che in mancanza di contratto scritto e neanche un patto relativo all’orario di lavoro part time, i rapporti di lavoro dei ricorrenti devono considerarsi come costituiti full time e spetta al datore di lavoro provare riduzioni concordate di prestazioni lavorative o sospensioni concordate in relazione a un orario giornaliero o a giorni di lavoro. La decisione del datore di lavoro, precisa la Cassazione, sotto la soglia del numero minimo di giornate retribuite da accordo sindacale, non può essere unilaterale “ma è necessario un ulteriore consenso dei lavoratori, proprio per tale ragione previsto dal successivo accordo sindacale aziendale di aprile 2016 Tale consenso modificativo – stando agli accertamenti di fatto compiuti dai giudici di merito – è mancato”.

Nel rinviare la decisione alla Corte d’Appello la Cassazione, comunque, stabilisce dei principi in punta di diritto: “Pur in presenza di un rapporto di lavoro subordinato full time, il datore di lavoro può provare sospensioni concordate delle prestazioni lavorative e delle correlative retribuzioni anche per facta concludentia; una volta raggiunta la prova di tali sospensioni, esse si traducono in clausole tacite integrative del contratto individuale di lavoro full time; una volta integrato in tal modo il contratto, eventuali modifiche successive di quelle sospensioni concordate richiedono un nuovo consenso del lavoratore e quindi non possono essere disposte né imposte unilateralmente dal datore di lavoro”.

Allo stesso tempo, specifica la Corte, non basta la messa in mora dell’azienda per ripristinare il contratto di lavoro full time dei dipendenti.

La nuova decisione, ora, spetta ai giudici d’appello.