Bufera al carcere di Lucca, si dimette lo psicologo: “Umiliato come persona, non potevo più lavorare”

7 dicembre 2024 | 15:03
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Bufera al carcere di Lucca, si dimette lo psicologo: “Umiliato come persona, non potevo più lavorare”

Il dottor Cornacchia: “Mi è stato imposto di ‘uscire’ dal carcere alle 18 anche in prossimità e durante colloqui con soggetti a grave rischio suicidario”

Bufera nel carcere San Giorgio di Lucca, dove dopo 30 anni di servizio lo psicologo Vito Michele Cornacchia ha dato le dimissioni. 

Una lettera infuocata, con il quale il professionista fortemarmino, 67enne, anche professore universitario a contratto nell’Ateneo pisano, ha elencato una serie di vicende che lo hanno fatto decidere a lasciare, con dispiacere, l’incarico.

Vito Michele Cornacchia

Mi sono sentito umiliato come persona, non potevo più lavorare. E allora ho detto basta”, ha spiegato alla nostra redazione, precisando anche l’ultimo episodio: “Mi è stato impedito di parlare con un detenuto ad alto rischio di suicidio”. 

“Da tempo riflettevo sulla mia posizione, sentita sempre più precaria e poco valorizzata, ormai frantumata e calpestata senza alcuna difesa – prosegue -. L’assurda imposizione di non poter svolgere colloqui in un setting terapeutico adeguato mi ha profondamente amareggiato, ledendo non solo la mia professionalità ma anche il diritto dei detenuti a un trattamento dignitoso”.

“Lo scorso marzo – scrive nella missiva inviata al Provveditore Amministrazione Penitenziaria Toscana –  quando accedevo alla Casa Circondariale di Lucca per svolgere l’attività di cui all’incarico, venivo a conoscenza, per il tramite degli agenti di polizia penitenziaria, che non potevo più usufruire della stanza/ufficio colloqui in quanto era stato disposto il ricollocamento dello spazio in favore dell’ufficio matricola per registrare i nuovi giunti.Documenti o altro materiale (schede detenuti, relazioni, test ecc.) dell’ufficio da me presieduto è stato movimentato, in mia assenza, per essere depositato in contenitori. Da quel momento posso avvalermi di scrivanie e computer “in appoggio” presso altri uffici del Presidio Sanitario, chiedendo di volta in volta il benestare dei colleghi, non avendo più a disposizione uno spazio consono per l’espletamento delle mie funzioni.

Il tutto, spiega lo psicologo, “senza informare preventivamente il sottoscritto” e chiedendo se “dopo tre decadi di lavoro nel carcere sia da ritenersi fondata nella liceità questa condotta di decidere, inaudita altera parte e d’emblèe, di sottrarre uno spazio di lavoro.Considerando l’attuale allarme relativo ai suicidi e alle richieste pressanti di molti esperti del settore di incrementare il sostegno psicologico, è possibile svolgere tale funzione essendo “accampato”  provvisoriamente, senza la possibilità di effettuare colloqui in ambienti e spazi adeguati al delicato ruolo professionale”?

Da diversi mesi, poi, aggiunge Cornacchia, “mi è stato imposto di ‘uscire’ dal carcere alle 18 anche in prossimità e durante colloqui con soggetti a grave rischio suicidario, con il divieto di chiamare i detenuti anche presso il Presidio Sanitario. Questo è, a mio avviso, un gravissimo errore e il motivo consta nel fatto che è proprio al termine delle attività, e quindi verso sera, che si può avere un dialogo aperto con i detenuti, che si può realizzare il trattamento di cui l’operato dello psicologo è una parte attiva ed irrinunciabile. Circostanza ben nota a chi opera nel settore e pur anche alle direzioni avvicendatesi negli anni a Lucca, tanto che mai è stato posto un vincolo di questo tenore. Forse alle 18 si esaurisce il rischio del suicidio?. Nonostante il senso di umiliazione provato per le circostanze subite, continuo e persevero nella mia attività speranzoso che ci sia sempre, da tutte le parti, voglia di dare un senso vero alla rieducazione e alla prevenzione dal rischio suicidario. Ho sempre creduto, come sono certo ci abbiano creduto molti direttori, operatori, agenti e volontari nei tanti anni di servizio non solo a Lucca ma a Massa, Prato, Gorgona, Pisa, Livorno, Pistoia, Grosseto, San Gimignano e Volterra”.

“Le continue umiliazioni, come l’essere “cacciato” dall’ufficio alle 18 come un cane bastonato, un ladro, hanno inciso profondamente sulla mia dignità e sulla mia motivazione – conclude
Pur essendo un dipendente Asl e parte della sanità penitenziaria, a seconda del capoposto in servizio, arrivava puntualmente un agente a “cacciarmi” indicando con il dito l’orologio. Ogni volta la ferita si riapriva e il dolore avanzava”. 

Di qui l’addio, ma in attesa di risposte.