La morte di Affatigato e i dubbi sul suicidio, la testimonianza: “Mi disse che era seguito”

L’imprenditre Roberto Parenti: “Quel post premonitore del 7 marzo suona oggi come un allarme che non può essere ignorato”
Sono molti i dubbi che avvolgono la morte di Marco Affatigato, avvenuta a Nizza nel pomeriggio di venerdì scorso. Un decesso per il quale, da subito, la procura francese ha ipotizzato un suicidio, anche se le indagini delle autorità d’oltralpe vanno avanti e a fare luce sarà l’esame autoptico.
Il primo ad essere scettico che Marco Affatigato si sia tolto la vita è stato l’investigatore Davide Cannella, ex militare dell’Arma e titolare dell’agenzia Falco di Lucca, che ben lo conosceva. Poi il post, quasi profetico, pubblicato dallo stesso Affatigato sul suo profilo Facebook il 7 marzo, poco più di un mese prima della sua morte dove ipotizzava che potesse essere messo in scena un suicidio.
La mattina, intorno a mezzogiorno, poche ore prima della sua morte, sui social aveva postato delle immagini del terremoto dell’Aquila, commentando, come era solito fare con fatti di cronaca come di politica, quanti abitanti fossero ancora senza casa, costretti a vivere nei container. Niente, quindi, poteva far pensare che avesse in mente di compiere un gesto estremo
Anche Roberto Parenti, suo amico, manager italiano a Tirana, è rimasto perplesso.
Da quanti anni vi conoscevate? Eravate molto amici?
Conoscevo Marco dal 2013-2014, in ambito politico. All’epoca era ancora formalmente latitante in Francia, ma già allora era evidente la sua volontà di chiudere con il passato e rientrare nella legalità. La nostra conoscenza si è trasformata col tempo in una vera amicizia, fatta di confronto, di rispetto e di progetti condivisi. Ho vissuto al suo fianco la decisione difficile di farsi arrestare per estinguere i conti con la giustizia italiana. Una scelta di coraggio e consapevolezza, non certo di resa. Andavo regolarmente a trovarlo in carcere: in quei momenti, che per chiunque sarebbero stati drammatici, Marco mostrava una forza interiore e una serenità che ancora oggi fatico a comprendere. Era pacato, lucido, in pieno controllo. Una volta tornato libero, abbiamo condiviso iniziative professionali. Marco era proiettato verso il futuro, pronto a ricostruire la sua vita da uomo libero. Avevo persino predisposto per lui un blog, uno spazio dove potesse esprimere il suo pensiero, la sua passione per la scrittura, la sua visione del mondo. Quel blog ci venne bloccato: primo segnale tangibile dell’ostruzionismo che avrebbe continuato a subire. Ho vissuto insieme a lui il dolore della sua nuova fuga in Francia, necessaria, forzata. Abbiamo condiviso preoccupazioni concrete: come organizzarsi, come sopravvivere legalmente, come difendersi. So per certo che ha avuto problemi per il rinnovo dei documenti d’identità, impedendogli di rientrare in ossesso dei suoi diritti fondamentali: senza carta d’identità, senza passaporto, non puoi fare nulla. È una morte civile (i documenti, poi, gli sarebbero stati rilasciati, ndr). Ha avuto conti bancari chiusi, attività bloccate, fino al mandato di cattura internazionale spiccato, nonostante gli otto anni di detenzione già scontati in Italia. Un accanimento sistematico, che non può non far sorgere interrogativi
Vi eravate sentiti di recente, a voce o per messaggio su Whatsapp?
Ci siamo sempre sentiti, sempre rimasti in contatto, nonostante la distanza geografica, vivendo io a Tirana e lui a Nizza
Cosa ne pensa di questa morte? Forse, Marco Affatigato, le ha confidato qualche timore?
Solo dieci giorni fa avevamo concordato un accordo commerciale per permettergli di continuare il suo lavoro legalmente. Era motivato. Voleva rimettersi in piedi, e stava trovando il modo per farlo. Qualche giorno prima della sua morte mi aveva confidato, con la sua solita lucidità, di essere seguito nei suoi spostamenti a Nizza. Ne era certo. Chi lo ha conosciuto davvero sa che Marco non era una persona che si lasciava andare alla disperazione. Aveva attraversato prove durissime, e ne era sempre uscito con determinazione. Per questo, la sua morte, il modo in cui è avvenuta, e quel post premonitore del 7 marzo, suonano oggi come un allarme che non può essere ignorato. Qualcuno voleva che Marco sparisse. E ora che non c’è più, il minimo che possiamo fare è non restare in silenzio