Al Lu.C.C.A. una retrospettiva sul fotografo Robert Capa



Bello, divertente, coraggioso, amante della vita al punto di sfidare la morte, generoso, irrequieto, fotografo e artista al contempo: sono questi gli ingredienti che, miscelati accuratamente dalla genetica, hanno regalato all’umanità Robert Capa, il Miglior fotografo di guerra del mondo, come gli venne riconosciuto nel 1938.
E adesso, nell’anniversario del 60esimo anno della sua morte, gli scatti del profugo perenne, dell’uomo del Qui e ora, giungono a Lucca per mezzo di una retrospettiva curata dal Lucca Center of Contemporary Art, patrocinata da Regione Toscana, Comune, comitato per il 500esimo delle mura, Camera di Commercio, Assindustria, Confcommercio, Confesercenti, Lions Club Oderzo, Fondazioni Crl e Bml e Gesam Gas. La mostra aprirà al pubblico il 5 luglio e chiuderà i battenti il 2 novembre.
A tirare le fila è, come sempre, un Maurizio Vanni entusiasta ed innamorato dell’esposizione: “Ho praticamente passato cinque notti qui, da solo con le opere – rivela- ed è un’esperienza da privilegiati”. Aneddoto forse non noto ai più: Capa, classe 1913, di cognome faceva Friedman, ma il cognome non era accattivante, così decise di usare uno pseudonimo che richiamasse al più noto Frank Capra, e l’operazione di marketing riuscì.
“E’ una mostra che si fa vedere e sentire – osserva il presidente del museo – il dottor Angelo Parpinelli – gli scatti sono impregnati dei rumori della guerra. Abbiamo portato a Lucca un evento dal respiro internazionale: questo ci dà ancora di più il coraggio di proseguire nella nostra missione. E’ una mostra che fa bene e fa male: c’è l’angoscia della sofferenza e della morte, ma anche il sentimento d’unione generato dalla tragedia”.
Capa ha messo in gioco la sua vita per consegnare al mondo i drammi emotivi di alcuni dei momenti più drammatici del secolo scorso: “Il Comune ha dato il suo patrocinio e ha inserito la mostra nell’ambito delle manifestazioni per il cinquecentenario delle Mura – dichiara il sindaco Tambellini – perché si tratta di un grande evento, dalla valenza documentaristica e artistica allo stesso tempo. E’ l’ennesimo traguardo centrato da un Museo che, in città, ha colmato un grande vuoto come quello relativo all’arte contemporanea. Mi auguro vivamente che le scuole vengano qui massicciamente”.
La mostra, prodotta da MViva e realizzata in collaborazione con Magnum Photos, documenta tutte le ‘sue’ guerre ed alcuni avvenimenti storici di cui è stato testimone oculare: dal conflitto civile spagnolo allo sbarco in Normandia, passando per la conquista alleata della Sicilia, di Sorrento e Napoli. Capa c’era anche quando fu ufficialmente fondato lo stato di Israele e non si tirò indietro quando, fotografo già di fama internazionale, pensò bene di andare a rischiare ancora in Indocina, dove trovò la morte calpestando una mina antiuomo.
“Ma lui voleva esserci – spiega Vanni – la sua irrequietezza alimentava una vena artistica sconfinata e lo costringeva ad essere presente. Come quando accetta di infilarsi nei mezzi anfibi per poi scattare le foto del D-Day (a proposito, 3/4 sono andate perse per la sciagurata opera di un maldestro addetto alla camera oscura), o come quando si infiltra in una conferenza off-limits a Copenaghen, per riprendere Lev Trockij. E’ un profugo quando è costretto a lasciare la sua Budapest, sa cosa vuol dire patire la fame, ha confidenza con la segregazione sociale: i suoi scatti testimoniano tutto il coinvolgimento di chi, certe cose, le ha vissute sulla propria pelle. Lui non aspetta che il momento lo venga a cercare: lavora d’istinto. Bravo, sveglio, coraggioso: lo mandano ovunque e lui spinge per andare. In Italia, a Napoli, sceglie di non fotografare la guerra ma il funerale di venti liceali trucidati perché sorpresi a rubare le armi ai tedeschi: vuole testimoniare la grevità di un conflitto che, tuttavia, può ridare identità ad una comunità”.
Il suo scatto più famoso resta, senz’altro, Morte di un miliaziano lealista sul fronte di Cordova , settembre 1936: un’opera oggetto di molte critiche poi destituite di fondamento, perché sembra costruita, tanto pare impossibile che Capa sia riuscito a centrare il momento esatto dello sparo. “Qui c’è il suo istinto puro – osserva Vanni – non conta l’attenzione alla tecnica, che invece si lascia ammirare in altre fotografie. Penso alla luce bidimensionale in Addio di un miliziano repubblicano, una luce che concentra l’occhio sui volti rigati da sorrisi diversi di un uomo e di una donna che si salutano per l’ultima volta, ma anche a Una bambina che si riposa durante l’evacuazione della città, (Barcellona, 1936), dove si vede tutta la sua maestria”.
Accanto alla mostra di Capa ci sarà quella di Marco Antonio Lunardi: “Vive a Lucca – spiega Vanni – quindi sfatiamo il mito che qui non ci sono artisti. Proporrà tre video per un totale di 12 minuti in cui racconterà l’angoscia di questo millennio: i ragazzi delle scuole lo troveranno attualissimo”. Lunardi, che sta trovando grandi riscontri all’estero, presenterà tre sequenze riguardanti, rispettivamente, i temi della mercificazione della cultura, della solitudine e della burocrazia che blocca le nostre vite. Il titolo, irriverente, sarà Show can’t go on: fermarsi, riflettere, riscrivere la storia.
Orario dal martedì alla domenica dalle 10 alle 19. Biglietti: 9 euro intero e 7 ridotto.
Paolo Lazzari
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