Martin a Barga: “Canto contro il cancro e per mio padre”

27 settembre 2014 | 08:16
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Martin a Barga: “Canto contro il cancro e per mio padre”

Stasera (27 settembre) alle 20,30 si terrà a Barga, al teatro dei Differenti, un concerto a favore della ricerca sul cancro che vedrà protagonisti alcuni artisti di grande livello ed esperienza internazionali. Alcuni sono già molto noti e apprezzati dal nostro pubblico, come Luca Giovacchini, chitarrista e bassista, Matteo Sodini batterista, Michela Lombardi, cantante, Marco Bachi, bassista, a cui si aggiungono Alberto Gurrisi, hammond, che poche settimane fa ha suonato al Barga Jazz festival e i coristi del Jubilation Gospel Choir di Livorno. Ma l’occasione per gli amanti del genere blues è particolarmente attraente perché saranno presenti dalla Gran Bretagna Eddie Martin, considerato dalla critica musicale come uno dei migliori musicisti e compositori blues della Gran Bretagna e Leakan Babalola che ha accompagnato grandi nomi del jazz come Cassandra Wilson con cui ha vinto due Grammy Awards. 

La loro presenza non è casuale ma frutto del lavoro di scouting di Bruno Bacci, oggi manager di Eddie Martin e di altri musicisti e da tempo conosciuto anche per il suo lavoro di liutaio. Bruno è anche fra i fondatori di Jazz & Blues un gruppo di appassionati di questi generi attivo per promuoverli sulla scena musicale lucchese.
Abbiamo incontrato quindi Martin, Babalola e Giovacchini a Barga dove in questi giorni stanno provando in vista del concerto di sabato per conoscere le loro motivazioni nell’accettare di partecipare gratuitamente a un concerto inedito che nel caso di Martin e Babalola non è certo dietro casa.
Quando incontriamo Martin e Babalola a casa di Giovacchini sono appena arrivati da Bristol e ci aspetteremmo di trovarli stanchi dal viaggio, tutt’altro che dell’umore di raccontarsi. Invece basta un buon bicchiere di vino per sciogliere le lingue e con Eddie iniziamo subito l’intervista.
Eddie, innanzitutto perché hai deciso di partecipare a questo concerto di beneficienza?
Quando Bruno, (Bruno Bacci, ndr), mi disse che voleva organizzare un concerto in favore della ricerca sul cancro, sapevo che il padre di Bruno soffriva di questa malattia, ma quello che Bruno non sapeva è che anche mio padre anni fa era stato malato di cancro, quindi ero molto contento di partecipare.
Passando alla musica vuoi raccontare qualcosa di te, del tuo percorso musicale? Quando hai iniziato ad interessarti al blues?
Quando per la prima volta ascolti un tipo di musica con cui ti identifichi, la prima cosa che senti è un’emozione, una reazione istintiva, così quando a sedici anni per la prima volta ho ascoltato il blues la musica mi ha fatto ‘saltare dalla sedia’ quindi dovevo studiare quella musica. Allora iniziai a studiarla a sedici anni: sono circa 40 anni da quando ho iniziato ma ho sempre pensato che potesse essere un esercizio, che prima o poi mi sarei spostato su altri generi ma in realtà mi sono sempre sentito più coinvolto in questo genere approfondendo la conoscenza di vari strumenti e devo dire che il blues è davvero ricco musicalmente. Avevo da subito il forte desiderio di scrivere la mia musica, le mie canzoni e così ho fatto per tutto questo tempo. In tutto questo periodo ho sempre cercato di evolvere il mio stile ed includere nuovi suoni. Razionalizzando, quello che mi ha fatto rimanere nel genere blues è il fatto che viviamo tempi in cui è importante rimanere aperti al resto del mondo, alla diversità e celebrare la radice comune della natura umana. Alla fine il blues più di ogni altro genere nasce alle sue radici dalla fusione delle tradizioni africana, europea e americana: è una musica internazionale che porta culture molto diverse a fondersi in armonia.
Interessante, anche se alcuni critici del blues sostengono che il blues oggigiorno è divenuto una musica con uno stile conservativo che non si rinnova, che ne pensi? Sei d’accordo?
In parte è vero ma c’è da considerare che i produttori oggi non sono molto interessati al blues, quindi il blues spesso è costretto ad esprimersi in contesti minori, come music bars, posti nei quali spesso si richiede una musica di intrattenimento meno creativa. Inoltre occorre aggiungere che i promoters, gli imprenditori musicali, particolarmente nel Regno Unito, spesso vogliono un blues che sia facilmente riconoscibile in quanto tale, quindi in un certo senso ‘classico’. Ma questo non vuol dire che non si può innovare, questo è esattamente quello che cerchiamo di fare con Lekan e gli altri.
Ecco, quindi la scena blues nel Regno Unito ha questi limiti ma pensi che sia lo stesso negli altri paesi europei dove hai suonato?
Una cosa che mi piace dell’Europa continentale è che spesso nei festival musicali ai quali sono inviato si possono incontrare artisti che suonano generi differenti, il che rende l’esperienza più interessante per tutti e favorisce la contaminazione creativa. Mentre in Gran Bretagna c’è il rischio di essere invitati in festival monotematici, una sorta di ‘ghetto’ musicale se capisci cosa intendo (ride, ndr). Comunque, la scena blues britannica rimane di livello ed io personalmente non sono solo impegnato come musicista e compositore ma anche come produttore che promuove ottimi artisti blues come Matt Schofield e Ian Siegal e proprio per festeggiare 25 anni come produttore della mia musica, questo anno sono uscito con un doppio album intitolato ‘Blues took me by the hand’ (il blues mi prese per mano, ndr), una raccolta di brani che raccoglie la mia biografia blues e che sta avendo un ottimo successo di critica.
Al gruppo si aggiunge Leakan, la cui storia di musicista britannico di origine africana ci da l’occasione di sentire un’altra prospettiva sul blues.
Leakan, tu come sei rientrato in questo progetto?
Ho conosciuto la musica di Eddie e mi ha colpito. Avevo già fatto musica blues in passato ma adesso ho sentito che era il momento per me di approfondire la mia conoscenza di questo genere. Mi piacerebbe portare la mia sensibilità africana nel blues. Quindi quando ho incontrato Luca (Giovacchini, ndr) in Inghilterra e con Eddie mi hanno parlato di questo concerto e della possibilità di iniziare un percorso comune ho aderito con entusiasmo.
Quindi pensi che il blues sia una nuova fase della tua carriera musicale?
No, non una nuova fase, è un ritorno alle mie radici, è come se stessi evidenziando tutte le diramazioni delle mie radici. In passato l’ho fatto cercando di lavorare negli Stati Uniti, con la sua cultura afroamericana ed il jazz, mentre adesso mi accorgo sempre più che anche in Europa con musicisti blues come Eddie è possibile trovare la sensibilità musicale per conciliare occidente e ritmi africani. La musica per me è stata fondamentale come mezzo per abbattere le barriere. Sono arrivato a venti anni da Lagos (Nigeria, ndr), più di trenta anni fa ed ero uno dei pochi neri dove abitavo, ero ‘l’uomo nero’, qualcosa di nuovo per me, uno shock, perché fino ad allora ero solo Lekan. Ma la musica mi ha permesso di collaborare e creare rapporti con tutti e di entrare in ambienti dove forse non mi sarebbe possibile a causa della mia diversità.
A questo punto prima di chiudere chiediamo a Luca Giovacchini una sua opinione da ‘lucchese’, (che da poco si è trasferito a Barga), su questo evento e sulla scena musicale di Lucca.
Luca, pensi che la scena musicale lucchese potrebbe approfittare di una maggiore apertura alla scena musicale internazionale? E parlando di Lucca che ambisce a diventare ‘città della musica’ riconosciuta dall’Unesco, come pensi che sia possibile integrare tradizione classica e operistica con altri generi?
Riguardo alla prima domanda devo dire che Lucca è una città che ha musicisti di livello medio-alto ma soffre un po’ della mentalità della città, una maggiore apertura alla scena musicale internazionale ed alla contaminazione farebbero crescere musicalmente la scena lucchese. Altre città toscane, penso a Livorno, ad esempio, sembrano più capaci di aprirsi. Ad esempio qui a Barga, a due passi da Lucca, sono stati organizzati concerti con musicisti di altissimo livello internazionale che però a volte non hanno avuto riscontro in termini di pubblico lucchese, parlo in particolare di musicisti lucchesi che mi sarei aspettato di incontrare fra il pubblico.
Allo stesso modo, se Lucca vuole essere una ‘città della musica’, è giusto puntare sulla tradizione operistica e classica ma occorre anche dare spazio ad altri generi e intendo dire anche spazi nella vita sociale e notturna della città, cioè permettere con più facilità alle band di suonare nei locali cittadini che al momento a causa anche di regolamenti comunali stringenti trovano più difficoltà ad essere ingaggiate.