In tanti all’oratorio San Giuseppe per la presentazione del “Mal di Karajan” di Andrea Colombini

15 marzo 2015 | 12:07
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In tanti all’oratorio San Giuseppe per la presentazione del “Mal di Karajan” di Andrea Colombini

Successo per il Mal di Karajan: tanto pubblico nell’oratorio di San Giuseppe per il libro di Colombini. Uno sguardo inedito su uno dei più grandi direttori d’orchestra, indagato sotto molteplici aspetti poco noti, che hanno suscitato la curiosità dei presenti. “Questa è davvero una grande dichiarazione d’amore, capace di trasmettere in modo accessibile a tutti l’ammirazione verso un personaggio maestoso come Herbert Von Karajan, elargendo aspetti inediti ed entrando nel dettaglio dell’uomo prima e del direttore d’orchestra poi”. E’cominciato così, con l’apprezzamento convinto dei moderatori, l’appuntamento con cui ieri (14 marzo) Andrea Colombini ha presentato ufficialmente il suo libro Il mal di Karajan. Alla presenza di Gina Truglio, responsabile della libreria Ubik di via Fillungo  (con la quale è stata instaurata una preziosa sinergia) e di un pubblico che in poco tempo ha riempito l’oratorio di San Giuseppe, Colombini ha ripercorso le tappe più significative del volume, non senza quel pizzico di emozione che scaturisce dall’amore incondizionato per la musica e per uno dei suoi più grandi interpreti.

“Ho sempre considerato la musica una sorta di missione monacale – ha spiegato il presidente e direttore artistico del Puccini e la sua Lucca Festival – un qualcosa per cui valeva e vale la pena spendere ogni energia che ho in corpo. Quella che ho scritto non è una biografia, anche perché esiste già, ma una fotografia di un Karajan per vasti tratti inedito, scattata assecondando la mia visuale. Un uomo per certi versi spigoloso, sorretto da quella indispensabile volontà di potenza che accompagna tutte le più grandi imprese e capace di far rimanere in lacrime coloro che hanno avuto modo di conoscerlo, dopo la sua dipartita. Ho scritto di getto, come si scrive quando si ama davvero qualcosa, anche perché non si può imparare ad amare gradualmente: dietro, però, c’è un lavoro lungo anni. Un lavoro fatto di documentazione costante, puntuale, raccolta attraverso il mio immediato contatto con la famiglia del più grande direttore d’orchestra esistito. Ho incontrato sua figlia e mi sono commosso, perché ha i suoi stessi occhi. Le persone vicine a lui mi hanno raccontato particolari sconosciuti e gustosi, che riporto nel libro. Karajan era un ingegnere: non aveva conseguito alcun titolo in via ufficiale, eppure era il più grande. Si nascondeva sotto al pianoforte del fratello, mentre quello prendeva lezioni: da quel momento la sua vita cambiò per sempre. Non era tagliato per suonare il piano, ma scoprì la sua naturale inclinazione: lo aiutarono a capire che aveva bisogno di uno strumento più grande e che quello strumento era l’orchestra. Dirigeva spesso ad occhi chiusi, perché sentiva la musica e si concentrava meglio. Dirigeva energicamente, senza risparmiarsi, perché affondava pienamente le mani nell’aspetto psicologico dei suoi interpreti, conoscendo vizi, dolori e virtù. Qualcuno ha detto che io proverei ad imitarlo: la verità è che ognuno è diverso, ma si possono condividere alcuni concetti di base. Tutti conoscono il modo in cui dirigo e se assomiglia anche solo lontanamente a quello di Karajan non posso che prenderlo per il migliore dei complimenti. Anche io sono persuaso dal fatto che soltanto conoscendo le persone con cui ti relazioni puoi trarre il meglio dalla loro performance, creando un’empatia unica, alimentata dall’energia di una direzione d’orchestra che trasmette forza e passione allo stato puro”.
Scorrendo il libro di Colombini, all’interno del quale spiccano i magnifici acquerelli di Chiara Giorgi, è dunque possibile fare i conti tanto con tecnicismi spiegati in chiave accessibile anche ai profani e, perché no, soffermarsi pure sul Karajan uomo del suo tempo, costretto a relazionarsi con il nazismo per riuscire ad emergere e capace di tirare fuori dal cilindro anche manie che fanno sorridere, i vezzi tipici dei geni, come la regola che le persone calve avrebbero dovuto indossare il toupet se volevano fare parte della sua orchestra.
Dopo aver risposto alle domande dei moderatori Colombini è stato incalzato dal pubblico al punto che si è venuto a creare un vero scambio di idee: “Siamo venuti qua convinti di poter confrontarci con qualcosa di assolutamente inedito – ha detto una coppia presente in sala – e ne usciamo immensamente arricchiti”. Anchei moderatori i hanno  voluto esprimere il loro personale apprezzamento per Colombini: “Quando circa 20 anni fa venni a sapere che le Scots Guards venivano ad esibirsi in una piccola città come Lucca – ha spiegato Iannaccone in apertura – mi chiesi chi potesse essere l’artefice di un simile miracolo. Adesso ce l’ho ben presente: Andrea ha fatto e continua a fare moltissimo per questa città e, con questa pubblicazione, dimostra una volta di più la sue enormi qualità”.