Scienza e arte in rosa, quando la passione diventa lavoro



Ci sono persone che vivono con il rimpianto, che arrivate ad una certa età si rendono conto che forse sarebbe stato meglio seguire i propri sogni e buttarsi senza lasciarsi scappare occasioni e tempo. Ma c’è anche chi invece quel coraggio di lanciarsi nel vuoto ce lo ha avuto ed ha fatto delle proprie passioni un mestiere. Quasi alla conclusione degli incontri e dei concerti organizzati da Lucca Jazz Donna, il festival “in rosa” che ormai da anni porta tra le Mura talenti e artiste femminili d’eccezione, oggi (19 ottobre) la manifestazione ha voluto dedicare la sua attenzione anche a donne che, più che essere artiste, hanno reso arte la loro vita. L’incontro Il talento delle donne è stato presentato alle 17,30 a Palazzo Ducale dalla giornalista Ilaria Lonigro, collaboratrice di molte testate femminili come Donna Moderna e D. Repubblica.
Presenti al tavolo Elisabetta Abela, archeologa di cui si è anche recentemente parlato in merito ai ritrovamenti della Domus Romana in Santa Maria Nera, Corinne Roger, artista francese che ha dedicato gran parte della vita a costruire i carri del carnevale di Viareggio, la vulcanologa Paola Del Carlo che grazie al suo lavoro ha scalato le vette più pericolose del mondo e l’ormai celebre Daniela Marcheschi, critica letteraria di fama internazionale. Donne incredibilmente diverse ma legate dallo stesso fascino e solarità che in poco più di un’ora hanno raccontato in breve le loro storie. A rompere il ghiacchio l’archeologa Elisabetta Abela che ha fatto grandi scoperte fin da quando era solo una bambina: “Avevo dieci anni quando mia madre mi portò a Roma. Avevo appena trascorso settimane a letto con il morbillo e voleva farmi svagare un po’. All’epoca dei ‘tombaroli’ scoprirono un’antica necropoli in cui nessuno, ancora, era mai potuto entrare. Grazie all’amicizia con queste persone noi ne avemmo l’opportunità: ancora ricordo il profumo di quella terra, profumo che sento ancora oggi e che mi regala grandi emozioni. Entrata là dentro misi il piedino sopra qualcosa: era un vaso, un vaso che mi fu regalato e che ancora oggi conservo gelosamente. Non so se ho deciso quel giorno di diventare archeologa, credo più che sia stata una decisione improvvisa, di certo questa è un’esperienza che mi porterò sempre nel cuore. Il mio è stato un percorso difficile, non avevo mai fatto studi classici e quel tipo di facoltà per me sarebbe stata molto faticosa. Ricordo ancora cosa mi disse un professore: ‘Se lei ce l’ha dentro, arriverà fino in fondo e finirà prima degli altri’. Mi sono laureata in quattro anni”. Il percorso difficile, però, Elisabetta non lo ha avuto solo tra i banchi dell’università. “Mi sono ritrovata in cantieri in cui ero l’unica italiana in mezzo a tedeschi – ha raccontato – ricordo ancora quando ero alle prime armi e in uno scavo mi affidarono la tomba più semplice. Io ne fui felice perché avevo poca esperienza e dovevo ancora imparare tanto, ma vedere le altre ragazze, di stazza molto più grande della mia, scavare con tanta velocità e trovare resti di scheletri mi disturbava. Io ce la misi tutta, feci molta fatica. Poi sentii quel ‘crack’ che non scorderò mai più: avevo trovato non uno ma ben due scheletri. Una coppia si era fatta seppellire insieme, l’uno abbracciato all’altra ancora mano nella mano dopo migliaia di anni. Fu una scoperta eccezionale. Mi commossi molto quando arrivò il momento di doverli ‘staccare’: urlai ‘lasciamoli stare, lasciamoli ancora così’, ma mi sentii rispondere che ‘i morti sono morti’. Dopo vent’anni a questa frase non ci credo ancora”.
Un’altra difficoltà che la nostra archeologa ha dovuto affrontare è stata anche quella di ritrovarsi a dare ordini a un team di uomini, ambiente in cui farsi rispettare non è affatto semplice. “Il segreto – ha spiegato – è saper trovare il giusto equilibrio tra gentilezza e autorevolezza. A volte ho ottenuto molto di più con un sorriso che con la voce dura”.
A prendere la parola Corinne Roger che lasciò la città più romantica del mondo per diventare carrista. “Feci un viaggio con mio marito e ci ritrovammo nel carnevale di Viareggio. Rimasi affascinata dai colori, dall’ambiente festoso, dal clima, dal paesaggio meraviglioso. Tanto che quando tornai a Parigi gli dissi: ‘ma siamo matti? Perché non facciamo le valigie e non ci torniamo?’ Da lì cominciò il mio mestiere, un mestiere fatto di fantasia e divertimento ma anche di fatica, fatica che però non sento mai da tanto che mi piace. A volte per fermarmi dovrebbero colpirmi in testa – scherza l’artista – Tutti i miei figli sono diventati grandi artisti, chi fa il cantante, chi l’attore, ma quando è carnevale tornano da me. Io e mio marito, scomparso lo scorso anno, li abbiamo lasciato una grande passione. Mio marito – spiega – ha portato al carnevale la teatralità, rivoluzionando completamente la festa. Il nuovo bozzetto? Abbiamo in mente una trilogia sulla positività: nella vita penso che tutti debbano reagire sempre, trovare sempre il bello e costruirsi un futuro basato sull’ottimismo. I sogni non devono mancare mai”.
Corinne ed il marito non hanno incantato solo il pubblico in maschera di Viareggio: con il loro lavoro hanno portato la loro arte a Singapore, in Canada, in Inghilterra. La loro passione ha girato e colorato il mondo. Microfono anche alla critica letteraria Daniela Marcheschi che con la sua solarità ha sempre lasciato grande simpatia: “Per me il mio non è mai stato un lavoro – racconta –: sono cresciuta in una famiglia di grandi lettori e parlare di letteratura in casa per me era del tutto normale. Mio padre era quasi un judebox: quando avevo qualche dubbio e c’era un’interrogazione particolare che mi spaventava, lui a memoria mi sapeva ripetere ogni poesia o testo di prosa. Leggere e scrivere per me sono sempre state esigenze: ricordo quando lessi Il giocatore invisibiledi Pontiggia e mi piacque molto. Per me fu una grande scommessa su cui nessuno contava, poco tempo dopo vinse il premio Strega a cui lo feci andare con una cravatta che comprai dal Tenucci. Il mio lavoro mi piace talmente tanto che a volte dimentico addirittura di mangiare, ma questo comporta anche solitudine: o trovi una persona che condivida con te le stesse passioni o la stessa follia, oppure una che sappia sacrificarsi e prendere il tuo posto, ad esempio nelle mansioni domestiche. Non credo che esistano uomini capaci di tanto. La mia famiglia è stata fondamentale: se a mio padre veniva in mente di andare a prendere un caffè a Milano o di visitare Roma noi facevamo le valigie e partivamo. Da lui ho imparato a prendere la vita con leggerezza e curiosità. La vita è troppo breve per essere tristi”.
A chiudere la serata la vulcanologa Paola Del Carlo: “Mi sono iscritta a geologia semplicemente perché volevo viaggiare, ma la passione per i vulcani è arrivata dopo, durante una lezione all’università. Lì ho davvero capito che la mia passione poteva diventare un mestiere. Ovviamente quando sali su quelle vette sai di essere in pericolo, ma sai anche che è il tuo lavoro e lo devi fare, senza considerare la dose di adrenalina che crea decisamente dipendenza. La spinta che hai dentro è più grande di qualsiasi paura. Per quattordici anni ho lavorato al monitoraggio dell’Etna e dello Stromboli ed ho fatto anche molte spedizioni in Antartide: là il paesaggio ti mozza il fiato ed è molto emozionante anche sentirsi tra le poche donne ad aver calpestato quella terra. Nelle spedizioni in cui ho fatto parte eravamo più o meno un centinaio di persone, quattro delle quali donne. A volte può essere faticoso ma hanno sempre avuto particolare riguardo nei nostri confronti”.
Il ciclo di interviste non poteva non finire in musica: l’incontro si è concluso infatti con la magica voce di Indra Boschi, accompagnata dalle note di Matteo Landucci (alla chitarra) e di Beppe Nannini (tromba). L’artista si è esibita in sei brani, tutti differenti tra loro ma ovviamente legati dal sound graffiante del Jazz: tra i titoli Imagine di John Lennon e la dolcissima colonna sonora di Biancaneve e i sette nani della Walt Disney che, come in pochi ben sanno, è uno dei brani Jazz più riusciti al mondo.
Giulia Prete