Successo a Seul per la Turandot ‘lucchese’

25 novembre 2017 | 14:10
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Successo a Seul per la Turandot ‘lucchese’

Tutto esaurito per le tre repliche di Turandot al Sejong Centre di Seul, in programma da ieri (24 novembre) fino a domani (26 novembre). A portare l’ultimo lavoro del maestro Puccini in uno dei più importanti teatri della Corea, con i suoi 3000 posti, è stato il regista lucchese Cataldo Russo che, per questa importante trasferta internazionale, si è fatto affiancare da uno staff creativo composto da Nicola Fanucchi e Cosimo Lorenzo Pancini. Il direttore d’orchestra è l’italo svizzero Franco Trinca, musicista di caratura internazionale. Nel cast spicca il nome del tenore Walter Fraccaro nei panni di Calaf, e della russa Irina Vashchenko, a cui è stato assegnato il ruolo di Turandot. I costumi sono del premio Oscar Franca Squarcianpino, che si aggiudicò l’ambita statuetta nel 1991 per il film Cyrano de Bergerac.

È lo stesso Cataldo Russo a raccontarci il suo incontro con Turandot e le domande che si è posto nell’approcciarsi alla regia dell’opera: “Giuseppe Adami, biografo di Puccini, narra che la nascita di Turandot si colloca nel Natale del 1920. Il maestro si trovava nella tenuta di sua proprietà chiamata ‘la torre della Tagliata’, in Maremma, vicino al paese di Orbetello. Una solitudine immensa, in faccia al mare mugghiante nei pressi di una roccia nuda e a un passo dalle rovine etrusche di Ansedonia. In quei luoghi Puccini stesso si definiva ‘prigioniero volontario’, ma quel mare e quelle rocce rano anche luoghi che ispiravano: sarebbero stati la culla della sua ultima opera, l’incompiuta Turandot, un’opera maestosa ma anche un grandioso enigma. In quelle terre affacciate sul mare, nei giorni di Natale di molti anni fa, il maestro tentava di sciogliere i nodi di una creazione artistica di difficile gestazione. Nei pressi dell’Ansedonia – continua Cataldo Russo – esiste poi una roccia che presenta un gigantesco taglio, uno squarcio che si affaccia sul mare, che porta con sé i racconti di molte leggende, tra cui quelle di una principessa prigioniera di quelle rocce. Il mare e la spiaggia di Ansedonia sono state per me luoghi di infanzia. Da quei posti ho preso ispirazione, ho immaginato e fantasticato di terre lontane ed esotiche, mentre ammiravo il magnifico taglio nella roccia, chiedendomi cosa poteva mai nascondersi al suo interno, cosa c’era in quell’ignota fessura che non potevo vedere ma solo immaginare, supporre. Nel confine tra il visibile e il non visibile sta l’essenza del teatro stesso”. E continua, Russo, raccontandoci le suggestioni di quei luoghi che hanno ispirato Puccini. “Il maestro cosa avrà pensato nell’ammirare la roccia della Tagliata? Avrà immaginato le stesse cose? Terre lontane? Principesse prigioniere di un incantesimo da loro stesse imposto? Ogni mistero è chiuso in ognuno di noi e quel taglio segna un confine, una sorta di porta di passaggio, tra il qui e l’altrove, tra il visibile e l’invisibile, tra ciò che conosciamo e l’ignoto, tra la vita e la morte, tra la conoscenza dell’amore e la sua mancanza. Chi non sa aprirsi al piacere della scoperta rischia di infrangersi contro le pareti della sua rigidità, della sua testardaggine, rimanendo prigioniero di un’illusoria comfort zone. Ma chi invece sa aprirsi al mondo, senza paura, compie per se stesso e per l’umanità intera un atto di redenzione e di creazione. Ed è ciò che succede, grazie anche al sacrificio di Liù, a Turandot e al principe straniero, nel preciso momento in cui baciandosi scopriranno l’amore. In quel momento – conclude Russo – rappresentano tutta l’umanità che, nonostante le avversità e i dolori della storia, è capace di andare avanti, di risorgere, di gettare un seme che diventerà germoglio e poi fiore”.