Lo scultore Orlandini torna a Lucca con ‘Trasmutazioni’

1 febbraio 2018 | 10:16
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Lo scultore Orlandini torna a Lucca con ‘Trasmutazioni’
Lo scultore Orlandini torna a Lucca con ‘Trasmutazioni’
Lo scultore Orlandini torna a Lucca con ‘Trasmutazioni’

Una vecchia scala a chiocciola, utensili, specchi, sculture colorate e surreali e il profumo indescrivibile che hanno tutti i luoghi che possiedono un’anima speciale.
Sembra una casina delle fiabe lo studio di Fabrizio Orlandini, l’artista lucchese che dopo anni di viaggi in giro per il mondo, soddisfazioni ma anche tanto dolore, è tornato a regalare alla sua città natale un’altra mostra pronta a far battere i cuori. Si terrà domani (2 febbraio) alle 16 alla Fondazione Antica Zecca di Lucca la presentazione del nuovo catalogo e della mostra, definita dall’artista ancora un ‘working progress’, che prenderà il nome di Trasmutazioni.

Una parola importante, quella usata per l’esposizione, che esprime appieno non solo l’estro e la personalità estremamente complessa dell’artista ma anche ciò che ha vissuto, non con poche problematiche, sulla propria pelle: dopo mesi trascorsi in cliniche di riabilitazione e ospedali a causa di un brutto ictus celebrale, lo scultore e orafo lucchese ha saputo rialzarsi e tornare più forte di prima, adesso è di nuovo pronto a portare nel mondo ancora un po’ di bellezza. Una ‘rinascita’, appunto, che nonostante i momenti di smarrimento in cui ha pensato di non poter mai più recuperare l’uso delle mani, amiche e colleghe di una vita, ha fatto diventare ancora più grande il suo ‘fuoco’. Ed è proprio a questo concetto di ‘fuoco’ che adesso ruota la vita, la fantasia e la forza del nostro scultore, innamoratosi di un libro dedicato al genio di Michelangelo. Lo sfoglia quasi con devozione mentre legge alcune righe. “Michelangelo – legge – era diventato troppo vecchio per poter lavorare, non ce la faceva più. Stava quasi impazzendo perché non riusciva a finire i suoi lavori, non ne era più in grado. Quindi chiama suo nipote, Leonardo, e lo supplica di aiutarlo: ‘io sono vecchio ma sono ancora uno scultore, io sono ancora fuoco’”.
“In queste righe mi ci sono ritrovato tantissimo – spiega l’artista –: più o meno è successa la stessa cosa anche a me. Quando non riuscivo ad usare le mani mi è crollato il mondo addosso: non potevo più lavorare, non potevo più fare musica. Cosa ne sarebbe stata della mia vita? Mia figlia ha dovuto anche chiudere il negozio di gioielli che avevamo. La gente – racconta – veniva da noi a comprare i miei pezzi unici, ma quando sono stato male e mi sono fermato, non c’era più nulla da vendere, nessun nuovo gioiello da mettere in vetrina. Adesso – dice Orlandini – voglio recuperare anche gli anni persi: questa estate, chissà, potrei lanciare una nuova collezione”.
Ma cosa accadrà dopo la presentazione del nuovo catalogo? L’idea di Orlandini è quella di esporre, presumibilmente con l’arrivo della bella stagione, le sue opere a turno, in modo da invogliare sempre le persone a visitare il suo spazio e di creare sempre una mostra tutta nuova.
Un artista ‘cittadino del mondo’ e anche un po’ ‘etrusco’ che, nonostante tanti anni trascorsi nella Grande mela, in Florida e in molti altri luoghi meravigliosi come l’Australia, la Cina, il Giappone e gli Emirati Arabi, è sempre rimasto affezionatissimo alla nostra città: “Sono sempre stato un grande sportivo perché per passare anche otto ore a scalpellare devi essere allenato – ha raccontato l’artista – Ho corso e passeggiato in luoghi bellissimi, in ogni città del mondo in cui sono stato, anche in riva all’oceano e nel deserto, ma niente, nessun posto è bello come le mie mura, come la mia Lucca. In ogni angolo si nasconde arte”.
“Ho vissuto a New York per molti anni ma poi, dopo l’attacco alle Torri gemelle, il mondo è cambiato, si è impaurito, e sono dovuto tornare in Italia – ha spiegato Orlandini – Là in America il periodo del ‘made in Italy’ fu veramente bellissimo: io ero molto richiesto come artista, quando poi seppero che ero anche toscano ricevevo inviti da chiunque. Sarebbe un bel periodo anche adesso, l’arte italiana ce la invidiano ovunque, ma le cose sono cambiate, ci vorrebbe un nuovo Rinascimento”.
“In Pennsylvania ho insegnato scultura all’università, c’erano persone che si facevano addirittura 8 ore di macchina per venire ad assistere alle mie lezioni. Ho insegnato molti anni anche in Italia, a Pietrasanta, e ho bellissimi ricordi anche di quel periodo. Ma qua è diverso – ha spiegato – non vale ciò che fai ma quali conoscenze hai. In America a volte mi mettevano in imbarazzo, c’erano miei manifesti ovunque, mi venne a salutare a lezione persino il governatore dell’epoca”.
“Sono molto legato all’arte del passato, infatti molte tecniche che uso sono etrusche – ad esempio la lavorazione a sbalzo nella pece – ma non disgusto affatto nemmeno le nuove tecnologie: questa estate, a Lucca, nella tenuta San Giovanni, io e l’amico ingegnere Antonio Casucci faremo lezioni di scultura lavorando con i robot. Inutile ignorare la tecnologia – ha spiegato Orlandini – ormai il mondo è in continua evoluzione e bisogna imparare ad usarla bene. C’è chi pensa che i robot tolgano della manodopera, il lavoro, ma non sono molto d’accordo. La tecnologia va usata come mezzo, come strumento, non come fine, e va saputa usare bene per fare cose buone. Per la sbozzatura della statua a San Concordio ci ho messo ben otto mesi, un lavoro che grazie ai robot potevo fare in venti giorni. Se la tecnologia ci avvantaggia, ben venga. Non toglie il lavoro perché c’è chi li fa, chi li costruisce”.
Oltre alla statua della ‘colomba’ al parco della pace di San Concordio, non potete non aver notato quella di fronte al comune di Capannori, in plaza de Mayo a Viareggio o a Marina di Pietrasanta, apparsa – come ricorda sorridendo l’artista – anche nel celebre film di Carlo Verdone Viaggi di nozze. Tutte opere disegnate e create da immensi blocchi di marmo proprio da Fabrizio Orlandini.
“Quando feci la statua dell’ippocampo a Marina di Pietrasanta fu un periodo tremendo ma molto divertente – racconta –: eravamo dieci artisti, provenienti da ogni parte del mondo, e in soli 18 giorni dovevamo tirar su una scultura. Ci mettevamo lì all’alba e a tarda sera stavamo sempre lì, con i nostri attrezzi. Fu buffo perché la gente, curiosa, ci girava intorno e noi la sera spesso ci addormentavamo appoggiati alle statue. Io mi sono pure ferito – racconta l’artista – mi sono appisolato con la lama accesa. Avevo le mani piene di vesciche e non lo rifarei mai, ma è stato un lavoro che mi ha dato tante soddisfazioni, come tutti i lavori che ho fatto, dopotutto. Non scorderò mai quando, da giovanissimo, rifeci la cappella della suore mantellate di Viareggio. Nella reliquia misero anche una pergamena in latino in cui si faceva il mio nome. Mi sentii immortale. Ma anche vedere i bambini giocare intorno alle mie statue, l’estate, mi riempie di gioia e di orgoglio. Tutta la fatica viene ripagata in un istante”.
“La scultura non è il prodotto finito – dice Orlandini – la scultura, la sua vera essenza è il durante, quando la fai, mentre da un blocco di materia tiri fuori la tua arte. Materia con cui devi avere un forte legame, che devi conoscere bene. La scultura non è istintiva come tutte le altre forme di arte, ci vuole un progetto, una mente calma e molta cautela. Hai un’unica chance, se fai uno sbaglio devi ripartire daccapo. La scultura, alla fine, ti insegna a vivere”.
Adesso lo scultore sta lavorando a un progetto per la piccola chiesa di Paganico, nel comune di Capannori, in particolare per l’altare.
“Lavorare per il ‘clero’ è sempre un grande onore – dice Orlandini – sono persone molto scrupolose, attente e pretendono la perfezione. Lavorare per loro, in tutti questi anni, mi ha fatto davvero da ottima scuola. Ce ne sono tanti di artisti fasulli che si spacciano per grandi santoni e rivoluzionari del mondo dell’arte, ma la scultura, se non hai estro, creatività e incredibile pazienza, non la fai. Io passo dal micro al macro di continuo, non è facile starmi accanto. Per me è difficile anche avere allievi o aiutanti. Sono sempre a studiare e ad inventare cose nuove, tipo le opere in legno ‘sovrapposto’, sempre con la voglia di fare, sempre con il mio solito fuoco. Ed è nei giovani in cui credo molto – spiega l’artista – gli adulti dovrebbero dialogare di più con loro, dovrebbero guidarli. I giovani in mano hanno già tantissime potenzialità, molte più di quante ne avevamo noi, ma c’è bisogno di dialogo, di un incontro tra vecchie e nuove generazioni, di input. Adesso che sono nonno ne sono ancora più convinto: solo i giovani possono togliere questa ‘bruttura’ che c’è nel mondo”. E così, chiuso ancora nel suo studio che profuma di bellezza e di fantasia, Fabrizio Orlandini farà ardere ancora più forte il suo fuoco. Aspettando la primavera, quando finalmente le sue opere, a turno, come vuole lui, saranno esposte in uno dei luoghi per lui più belli al mondo.

Giulia Prete