Freeman: “Sono attore grazie a Hitchcock e Lucas”



È uno degli ospiti d’onore dell’edizione 2018 del Lucca Film Festival nonché uno dei volti più noti e amati del cinema mondiale. Ha dato volto ad alcuni dei personaggi più iconici degli ultimi anni come Bilbo Baggins e il dottor John Watson nella serie tv Sherlock. Si parla di Martin Freeman che stasera (9 aprile), alle 20,30 al cinema Astra, riceverà il premio alla sua brillante carriera prima di introdurre, insieme al curatore editoriale di Dylan Dog Roberto Recchioni, l’anteprima italiana della sua ultima fatica cinematografica: il film horror Ghost Stories, adattamento dell’omonima opera teatrale (nei cinema italiani dal 19 aprile distribuito da Adler Entertainment). L’attore britannico si è prestato questa mattina alle domande dei giornalisti.
“Ero scappato da Londra sperando di trovare qua un bel sole – dice scherzando l’attore – ma mi sto convincendo che ci sia un che di molto romantico in questa pioggia primaverile”.
Oltre a ricevere il meritato riconoscimento alla carriera, Freeman si trova in Italia per promuovere il suo ultimo film: Ghost Stories. Il film diretto da Andy Nyman e Jeremy Dyson narra le vicende del professor Philip Goodman (Andy Nyman), un docente di psicologia noto a tutti per il suo proverbiale scetticismo nei confronti di qualsiasi evento sovrannaturale. Il protagonista conduce pure un programma televisivo, nel quale smaschera false sedute spiritiche e sedicenti sensitivi, finché un giorno riceve una misteriosa lettera. Il film si inserisce in un filone di film horror britannici che l’attore dice di amare molto: “Avevo appena finito di lavorare ad una produzione per la Bbc – racconta Freeman – quando Andy mi fece avere la sceneggiatura del film. Mentre la leggevo, in casa sorseggiando il caffé in pieno giorno, mi venivano i brividi. Alcune parti mettono davvero paura ma ce ne sono altre che invece sono molto divertenti. È un film che tratta di un tema molto attuale: quella del rapporto tra fede e scienza, tra tangibile e intangibile. Questa è stata la molla che mi ha spinto ad accettare la parte, oltre al fatto che conoscevo già sia Andy che Jeremy ed ero convinto che mi sarei divertito molto a lavorare con loro”.
Qualcuno gli chiede se, mentre stavano girando, sul set sono accadute cose strane: “Non sono successe cose particolarmente strane tranne una – confessa ironicamente l’attore scatenando le risate della sala -: una mattina siamo arrivati sul set e abbiamo saputo che Trump era stato eletto presidente degli Stati Uniti. C’è stato un momento di lutto condiviso ma poi abbiamo deciso di rimboccarci le maniche e continuare a lavorare”.
A chi gli chiede come ha trovato la strada verso il cinema, Freeman risponde senza pensarci su un attimo: “Avevo circa 7 anni – racconta – e mia madre mi fece vedere Psycho di Alfred Hitchcock. Sono rimasto terrorizzato per due giorni ma è stato da li che è nato il mio grande amore per il cinema e per l’horror. Un altro momento molto importante è stato nel 1977, quando uscì il primo episodio di Guerre Stellari. Ricordo che a scuola ci chiedevano di scrivere il diario di quello che avevamo fatto durante il fine settimana e tutti i ragazzi scrissero di questo film. È stato qualcosa che mi ha segnato profondamente”.
Tornando al nuovo film, Freeman si lancia in una riflessione sul suo rapporto con il soprannaturale: “Non so se esista ma d’altronde nessuno lo sa. Sono aperto a ogni possibilità. Sono cresciuto in un contesto di fede ed anche se io non sono credente, sono aperto a tutto”.
Anche su quale su genere di film predilige, Freeman ha le idee chiare: “Credo che un umorismo intelligente riesca a veicolare i messaggi meglio di qualunque altro format. Non credo che i film di genere siano necessariamente il miglior veicolo per comunicare. Questo tipo di film ha ormai permeato la cinematografia. Ormai classifichiamo tutto ma io sono diventato attore perché adoravo ascoltare e raccontare storie. Credo comunque che la cosa migliore per raccontare qualcosa sia l’umorismo: la risata è un mezzo molto efficace per raccontare le cose. Ad esempio, il film del 2017 Morto Stalin se ne fa un altro, racconta di cose terribili attraverso una commedia”.
Passando poi a ripercorrere la sua carriera, l’attore britannico ha parlato dei due anni che ha trascorso in Nuova Zelanda per girare i film legati alla trilogia de Lo Hobbit: “Durante le riprese, avevamo creato una banda di ragazzacci: eravamo quasi tutti maschi ed abbiamo condiviso spazi anche molto stretti. Nonostante tutto questo testosterone – scherza l’attore – siamo riusciti a non arrivare mai alle mani. Anzi, ho stretto amicizie che durano ancora oggi. Ma, soprattutto, sono grato per aver avuto la possibilità di lavorare con Peter Jackson, il vero maestro della Terra di mezzo”.
Anche su chi preferirebbe affrontare tra zombie, fantasmi e un drago, l’attore britannico non ha dubbi: “Credo che sceglierei Smaug: con lui si può parlare ed è visibile. In una schermaglia verbale credo che avrei la meglio. Non credo che a zombie e fantasmi interessi il dibattito”.